Pagina 3 | Poulsen gioca Lipsia-Juve: "McKennie il mio preferito, ho già battuto Vlahovic"

A soli trent’anni d’età, compiuti a giugno, è già la leggenda della RB Lipsia. Carta canta: recordman assoluto sia di presenze (402) che di gol (90). Nessuno come lui nel club della Red Bull. Basti pensare che al secondo posto nella classifica dei pluripresenti figura lo svedese Emil Forsberg (dallo scorso gennaio ceduto alla società satellite dei New York Red Bulls) a quota 325. Il “mito”, l’idolo biancorosso, è il danese-tanzaniano Yussuf Yurary Poulsen. I tifosi lo chiamano affettuosamente “Ewiger Held” (l’Eterno Eroe) a rimarcarne la lunga fedeltà e le prodezze compiute per la squadra. In quest’avvio di stagione ha totalizzato 6 presenze in altrettante partite (tra Bundesliga e Champions) anche se il suo minutaggio si è ridotto per la presenza in attacco del bomber belga-marocchino Openda, prelevato a luglio dal Lens per 40 milioni di euro. Ma l’allenatore Marco Rose sa perfettamente come utilizzarlo nelle corso dei 90’ sfruttando la sua esperienza, la sua fisicità (193 centimetri d’altezza), il suo carisma in campo e nello spogliatoio.

Lei è il recordman della RB Lipsia per presenze e gol. Una leggenda del club e per i tifosi. Qual è stato il complimento più bello, forse il più raro e speciale, che ha ricevuto durante i suoi 12 anni con i “Roten Bullen”?

«Probabilmente quando una volta, in città, un tifoso mi ha fermato e mi ha detto: senza di te, la RB Lipsia non sarebbe la stessa. Questo per me significa molto e sono davvero contento che i tifosi mi apprezzino così tanto».

Dalla terza divisione nel 2013 al secondo posto dietro al Bayern nel 2017 e 2021, dalle semifinali di Champions League nel 2020 alla conquista della Coppa di Germania (nel 2022 e 2023) e della Supercoppa lo scorso anno. Apra l’album dei ricordi e ne scelga alcuni in particolare che non dimenticherà mai.

«La prima è stata proprio la promozione dalla terza alla seconda divisione. È stato il mio traguardo più importante, e per il club, in quel momento. Anche la promozione in Bundesliga è stata molto speciale e ovviamente la conquista del nostro primo titolo assoluto quando due anni fa abbiamo portato la Coppa di Germania nella bacheca della società».

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Poulsen e la sfida alla Juve

Dopo il 3-1 contro il PSV Eindhoven a Torino nella prima giornata della rinnovata Champions League, la Juventus arriva alla Red Bull Arena desiderosa di bissare subito l’impresa. Secondo lei, come si può mettere in difficoltà la squadra italiana che ha una difesa di ferro? «Sappiamo che la Juventus è una squadra molto buona e sta disputando una grande stagione. Dovremo assolutamente fare del nostro meglio di fronte ai nostri tifosi che gremiranno la Red Bull Arena e ci spingeranno con il loro tifo. Va sottolineato che anche noi abbiamo avuto un buon inizio di stagione. Abbiamo concesso solo due reti dimostrando che siamo capaci di segnare anche molti gol come si è visto nel poker rifilato all’Augusta lo scorso weekend. Quindi sono sicuro che mercoledì gli spettatori possano aspettarsi una grande partita di Champions League fra due ottime squadre».

Quale giocatore della Juve apprezza di più?

«Non mi è mai piaciuto parlare dei singoli, credo soprattutto che la Juventus sia forte come squadra, come collettivo, compatta. Tuttavia se dovessi proprio sceglierne uno dico McKennie. Tutti noi lo conosciamo bene perché ha militato in Bundesliga nello Schalke 04 qualche che anno fa. E io ho anche giocato contro Vlahovic in un paio d’occasioni con la Nazionale. L’ultima volta che ci siamo affrontati, la Danimarca ha vinto 2-0 quindi sono certo che non gli piaccia ricordare quella circostanza...».

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Poulsen, l'infanzia e la Nazionale

Chi era il suo idolo di gioventù, il giocatore che ammirava, a cui s’ispirava? «Non avevo un vero idolo quand’ero ragazzino anche se seguivo molti giocatori. Ho sempre avuto in testa l’idea di diventare un calciatore professionista. Ma non volevo “venerare” un idolo con la possibilità di giocarci contro un giorno perché questo non sarebbe stato mentalmente stimolante, non sarebbe più stata una vera sfida. Anche da giocatore la pensavo così».

Il suo amato papà Shihe Yurary (ndr: spedizioniere al porto di Copenaghen, scomparso nel 2000 a causa di un male incurabile) era tanzaniano. È vero che c’è stato un momento, circa una dozzina d’anni fa, in cui lei avrebbe potuto giocare per la Nazionale africana delle “Taifa Stars” ma dalla Federazione calcistica di Dodoma non arrivò mai nessuna richiesta ufficiale in tal senso?

«La Danimarca è la mia terra natale: sono nato e cresciuto a Copenaghen. Ma anche la Tanzania occupa un parte del mio cuore, metà della mia famiglia vive là. Non c’è mai stato un momento in cui mi sono trovato veramente a scegliere fra Danimarca e Tanzania. Solo un piccolo contatto più di dieci anni fa quand’ero andato a trovare la mia famiglia a Dodoma, ma non c’è più stato seguito. Ho fatto la trafila in tutte le rappresentative giovanili danesi: la mia mente è stata sempre concentrata sull’obiettivo di guadagnare la Nazionale maggiore. Magari ci fosse stata un’offerta concreta qualche anno prima dall’Africa, le cose sarebbero andate diversamente. Ma nessuno può dirlo oggi».

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Poulsen, l'infanzia e la Nazionale

Chi era il suo idolo di gioventù, il giocatore che ammirava, a cui s’ispirava? «Non avevo un vero idolo quand’ero ragazzino anche se seguivo molti giocatori. Ho sempre avuto in testa l’idea di diventare un calciatore professionista. Ma non volevo “venerare” un idolo con la possibilità di giocarci contro un giorno perché questo non sarebbe stato mentalmente stimolante, non sarebbe più stata una vera sfida. Anche da giocatore la pensavo così».

Il suo amato papà Shihe Yurary (ndr: spedizioniere al porto di Copenaghen, scomparso nel 2000 a causa di un male incurabile) era tanzaniano. È vero che c’è stato un momento, circa una dozzina d’anni fa, in cui lei avrebbe potuto giocare per la Nazionale africana delle “Taifa Stars” ma dalla Federazione calcistica di Dodoma non arrivò mai nessuna richiesta ufficiale in tal senso?

«La Danimarca è la mia terra natale: sono nato e cresciuto a Copenaghen. Ma anche la Tanzania occupa un parte del mio cuore, metà della mia famiglia vive là. Non c’è mai stato un momento in cui mi sono trovato veramente a scegliere fra Danimarca e Tanzania. Solo un piccolo contatto più di dieci anni fa quand’ero andato a trovare la mia famiglia a Dodoma, ma non c’è più stato seguito. Ho fatto la trafila in tutte le rappresentative giovanili danesi: la mia mente è stata sempre concentrata sull’obiettivo di guadagnare la Nazionale maggiore. Magari ci fosse stata un’offerta concreta qualche anno prima dall’Africa, le cose sarebbero andate diversamente. Ma nessuno può dirlo oggi».

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