Pagina 6 | Scanavino esclusivo: Nuova Juve ma sempre per vincere. Sulla giustizia sportiva…

Buongiorno Scanavino, partiamo dalla grande novità: che impressione le ha fatto Thiago Motta? È stato insieme a lui per tutto il ritiro tedesco. «Sì, il ritiro in Germania è stato un bellissimo momento per fare gruppo con tutta la squadra, con l’allenatore, lo staff tecnico e quello di supporto. L’elemento che ho apprezzato di quella settimana è stata la grande disponibilità da parte di tutti quanti a mettersi in gioco e a lavorare sodo, con molto entusiasmo. La location era anche molto adatta a creare questo spirito di gruppo, tant’è che si sono creati dei momenti che i colleghi più esperti della parte sportiva mi hanno descritto come “d’altri tempi”, dove la sera ci si ritrovava a fare sfide di calcetto, ping-pong, boccette e freccette. Devo dire che è stato veramente un bel momento».

E Thiago?

«Con lui si è creato subito un ottimo feeling, è una persona con cui condividiamo passo passo tutte le situazioni. La Germania è stata, vivendo insieme una settimana, un’occasione importante per vederci anche più volte al giorno, parlando di questioni tecniche, situazioni più generali o anche solo per fare quattro chiacchiere piacevoli. Insomma, è emersa una fi gura di una persona estremamente dedicata, determinata, attentissima ai dettagli, e sicuramente anche molto ambiziosa. Inoltre è dotato di una personalità forte e una modalità di comunicazione con i giocatori molto schietta e diretta. Si è visto, lui va dritto al punto, cosa che è molto apprezzata, perché ho notato come tutti seguano i ritmi di lavoro con positività».

Sembra molto in sintonia con il management.

«Direi che la sintonia con il sottoscritto e con Cristiano (Giuntoli, ndr) deriva dal fatto che lui è molto concentrato ad allenare. Un elemento fondamentale è la chiarezza dei ruoli all’interno dell’azienda: sia per la parte sportiva, che per la parte diciamo più aziendale classica. Nel suo caso, proprio avendo ben chiaro il suo ruolo di allenatore, è molto disponibile e curioso di confrontarsi e comprendere le necessità, le strategie, gli obiettivi che vanno anche al di fuori del suo ruolo».

Lei viene da esperienza fuori dal calcio, si è fatto spiegare qualcosa di tecnico da Motta mentre eravate in Germania?

«Allora, io da questo punto di vista cerco, giustamente, di imparare quindi mi confronto con lui così come mi confronto con Cristiano, quando parliamo dei profili dei giocatori, delle attitudini, delle performance in campo, durante gli allenamenti, oppure delle opportunità che stiamo valutando sul mercato. La cosa che mi ha colpito di più è che oltre all’aspetto tecnico, per lui è prevalente soprattutto l’aspetto della disponibilità, dell’impegno, della personalità, della duttilità dei giocatori. Insomma, quello per lui è imprescindibile, poi ovviamente più uno è talentuoso, più può essere funzionale e importante per la squadra».

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"Giuntoli? Bravissimo come talent scout e ha anche una capacità di imbastire trattative complesse"

Motta guarda l’insieme non il singolo, quindi?

«Io non sono un esperto e quindi sono abituato a valutare di più il talento, l’aspetto estetico, il colpo ad effetto. Invece è molto chiaro che per lui le basi su cui fondare una squadra, un gruppo dipendono soprattutto dall’attitudina a collaborare dei singoli».

Prima parlava della chiarezza dei ruoli. Come avete strutturato il nuovo e, ormai definitivo, organigramma?

«La parte tecnica dell’area maschile fa capo al direttore sportivo che è Cristiano Giuntoli, con lui collabora direttamente Giuseppe Pompilio che è il “chief of staff ” e poi abbiamo Stefano Stefanelli che è responsabile dello scouting. Per quanto riguarda la fi liera delle giovanili c’è Claudio Chiellini che è il direttore sportivo della NextGen, allenata da Montero. Massimiliano Scaglia è, invece, il responsabile dell’Under 20 che ora è allenata da Magnanello. Gianluca Pessotto è diventato coordinatore tecnico del settore giovanile e Michele Sbravati è, invece, responsabile del settore giovanile. Per quanto riguarda l’area femminile abbiamo il direttore Stefano Braghin, un nuovo allenatore che è Massimiliano Canzi e Carola Coppo responsabile settore giovanile women. Per certi versi, non è molto diversa dalla struttura precedente e, diciamo, da una struttura classica».

Un tifoso le chiede come viene presa una decisione all’interno della Juventus, diciamo una decisione di mercato, cosa gli risponde?

«In genere, per quanto riguarda l’individuazione di giocatori in ingresso, tutto parte da delle valutazioni tecniche, esigenze specifiche e individuazione di determinati profili. Poi, grazie allo scouting, si vanno a individuare una serie di elementi. Questi vengono condivisi principalmente tra il direttore sportivo e l’allenatore. A quel punto viene fuori una sorta di short list e, anche in base al budget che ci diamo, si sceglie il tipo di contratto che vogliamo dare. Visto il mix che abbiamo in mente, fatto di giovani talenti, giocatori più consolidati e top player, per noi è molto importante inquadrare i profili più funzionali allo sviluppo sia dei costi che dei loro potenziali progressi. Questi sono gli elementi principali, che vengono valutati nelle scelte. Poi una volta individuato il giocatore, Cristiano può imbastire la trattativa e da lì ci sono colloqui quotidiani tra me e lui».

E, peraltro, come ho potuto vedere dagli ultimi comunicati, tutto viene rigorosamente tracciato per dare un riscontro preciso ai revisori.

«Tutto tracciato, certificato, trasparente, ed è un approccio che noi riteniamo importante, anche a tutela della società, quindi addirittura abbiamo un meccanismo per la certificazione del valore del giocatore. Per esempio, come abbiamo fatto per le valutazioni nell’operazione dell’acquisto con scambio di Douglas Luiz. Quindi tutto è molto più complicato, ma anche molto trasparente. Giuntoli, devo dire, ha una straordinaria capacità di modellare le trattative sulle basi delle esigenze aziendali. Sicuramente avrebbe vita più facile potendo andare a briglie sciolte, ma si è adeguato perfettamente».

Abbiamo parlato delle sue impressioni di Motta, ci racconti com’è Giuntoli dopo un anno di collaborazione fra voi due?

«Oltre ad essere bravissimo come talent scout, ha anche una capacità di imbastire trattative difficili e complesse che mettono insieme le nostre esigenze, le richieste altrui, le volontà dei giocatori, l’intervento dei procuratori. E sa agire in un modo formale e trasparente, che per certi versi, può essere una difficoltà in più in un mondo come quello del calciomercato».

La Juventus lo fa, le altre possono permettersi di non farlo, se non vogliono.

«Ma noi siamo quotati. La quotazione per noi comporta degli obblighi, tuttavia questa attitudine si potrebbe tenere al di là della quotazione...».

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"La competitività la prendiamo sul serio, non è una parola da sbandierare e basta"

John Elkann ha parlato di reset e di nuovo ciclo. Quali sono le fondamenta di questo nuovo ciclo juventino?

«Competitività e sostenibilità non è uno slogan. È un concetto che va interpretato nel modo giusto, cioè, il nostro approccio non è un approccio bieco, solo rivolto ai conti, curando esclusivamente la sostenibilità senza prendere in considerazione la volontà di essere competitivi. Insomma, essere competitivi per vincere resta il nostro obiettivo, la nostra ambizione. Dobbiamo seguirla su un percorso più attento ai costi. Ma, faccio un esempio: Bremer non lo abbiamo venduto, anzi gli abbiamo rinnovato il contratto. E avevamo offerte molto interessanti sotto il profilo economico, ma la cessione seppure remunerativa ci avrebbe indebolito, quindi abbiamo detto no. La competitività la prendiamo sul serio, non è una parola da sbandierare e basta».

La vostra campagna acquisti sta affrontando il problema dei cosiddetti “esuberi”, nei confronti dei quali state tenendo una postura più decisa rispetto al passato. Thiago Motta, per esempio, ha detto chiaramente che Chiesa non è parte del progetto.

«Anche in questo caso è una questione di trasparenza, è inutile raccontare bugie quando tutti sanno la verità. Abbiamo rispetto dei nostri avversari e delle loro capacità di valutazione di certe situazioni. Quindi, tanto vale essere trasparenti, no? Poi, come capita ovunque, si può essere non funzionali in una realtà e funzionalissimi in un’altra. Le decisioni sui giocatori dipendono dal modulo di gioco, dalle scelte dell’allenatore, da fattori umani e da fattori economici».

La parte complicata è trovare acquirenti.

«Oggi è molto difficile vendere. Bisogna trovare gli incastri giusti e siamo in una situazione di mercato non particolarmente florida, peraltro non solo in Italia, perché il mercato non si sta muovendo da nessuna parte. Tante società devono rientrare nei parametri dei fairplay finanziari quindi tendono a vendere più che comprare. L’Arabia Saudita ha questa strana anomalia per cui il mercato, da loro, finisce dopo, quindi potrebbero svegliarsi a settembre o magari hanno perso quello stimolo ad acquistare dei giocatori o hanno razionalizzato la loro gestione. Tutto ciò rende difficile effettuare le cessioni».

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"La sostenibilità non deve assolutamente escludere la competitività"

La Juventus, un giorno, tornerà a comprare un Cristiano Ronaldo? Cioè un campione già fatto, a quei livelli?

«Se intendiamo Ronaldo come esempio di top player, allora sì. Non escludo assolutamente che un domani non possa arrivare un top. Certo, vogliamo anche essere capaci di crearli noi, puntando sui giovani o su giocatori di talento che non sono ancora esplosi al massimo. Ma, come ho detto, la sostenibilità non deve assolutamente escludere la competitività. La Juventus ha comunque risorse importanti e quindi nell’insieme dell’investimento economico sulla prima squadra non è escluso che un domani possa arrivare un top player; anzi, cioè direi che ci sarà».

Dalle sue parole, deduco che tuttavia non cambiano i piani sulla Next Gen. Rimane un asset importante per il club?

«Rimane un asset assolutamente importante. Sulla Next Gen è stato fatto un investimento economico molto, molto importante negli anni, che inizia ora a dare i suoi primi frutti e proprio perché è stato un investimento importante su cui c’è un abbrivio e sicuramente noi continueremo a investire con l’obiettivo di sviluppare talenti. Poi, come dicevo, non tutti possono essere funzionali alla Juventus e, quindi, alcuni giocatori della Next Gen potranno sempre essere utilizzati per creare risorse economiche da reinvestire sul mercato».

Siete uno degli ultimi grandi club europei con una proprietà di famiglia e non di un fondo.

«Nelle fondamenta di cui parlavamo prima, citerei anche la continuità della proprietà. Perché la Juventus si basa su una proprietà che è la stessa da cento anni e che è un elemento unico nel mondo dello sport. Queste sono le fondamenta. La visita di John Elkann nel primo giorno di ritiro ha fatto sentire a Motta e alla squadra la presenza e l’impegno della famiglia. Sono cose che vengono percepite in modo forte dal tecnico e dai giocatori. È sempre un momento speciale quello di una sua visita».

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"La solidità e la continuità della proprietà è un elemento importante"

Perché nel calcio dei fondi voi avete una persona fisica che vi parla.

«Non c’è un azionista anonimo. Qui tutti sanno cos’è e cosa rappresenta la famiglia Agnelli nella storia di questo club».

La famiglia e la continuità secolare è la ragione per la quale la Juventus, alla fine, supera ogni tipo di crisi?

«La solidità e la continuità della proprietà è un elemento importante. Che emerge e che inorgoglisce anche i giocatori della Juventus. Anche nei momenti particolarmente difficili e situazioni di grave emergenza, come quelli dell’anno scorso, c’è la garanzia dell’impegno di questo tipo di proprietà ed è un elemento che aiuta anche a livello di comunicazione e motivazione interna. Il fatto comunque di avere una proprietà come la nostra alle spalle, che ha garantito il suo supporto, ha reso una situazione di pura emergenza possibile da gestire».

Il divorzio di Allegri se lo aspettava un po’ diverso?

«Il finale è stato inaspettato. Sicuramente abbiamo avuto una seconda parte della stagione che non è stata facile sotto il profilo sportivo. Poi c’è stata quella reazione nella finale di Coppa Italia che ci ha obbligati a dover prendere delle iniziative e interrompere il rapporto con lui. La volontà di entrambe le parti è stata quella di trovare un accordo cosi come è avvenuto. Detto ciò, anche nella fase successiva all’interruzione, il rapporto personale con Max è sempre stato ottimo sia dal punto di vista professionale che personale».

Le leghe fanno causa alle grandi manifestazioni internazionali, tutti si litigano spazi nei calendari. Ci può essere un equilibrio fra il calcio locale e quello globale?

«Secondo me è più un tema di numero di partite complessive che le squadre debbono fare. E quindi personalmente credo che si debba trovare un maggiore equilibrio su quel numero. Perché poi ci sono pure le nazionali e, per esempio, tanti dei nostri giocatori sono sempre convocati e questo fa lievitare ulteriormente le gare. Tra l’altro, le nazionali assorbono il 25% del tempo dei nostri giocatori, per i quali noi abbiamo il 100% dell’onere economico e questo senza nessun tipo di assicurazione o garanzia da parte di chi organizza i tornei. Insomma, il 25% del tempo dei calciatori non è nella nostra disponibilità. Poi noi li mettiamo a disposizione delle loro nazionali volentieri, beninteso. Però è singoare che un quarto del tempo non lo dedicano alla società di provenienza, la quale, come tutti sappiamo, investe fior di milioni in questi giocatori, senza essere assolutamente tutelata. Dal mio punto di vista, quindi, è urgente trovare un punto di equilibrio. E gli scontri sono inutili: secondo voi, se sparissero la Champions o il Mondiale per club, quelle risorse si riverserebbero tutte e automaticamente nei campionati nazionali? Per me no. Quindi, secondo me, la crescita del valore delle competizioni domestiche sta nello sviluppo del progetto dei campionati. Abbiamo l’esempio della Premier che è stata bravissima in questo e noi dobbiamo essere in grado di fare un progetto qualitativamente migliore: dal punto di vista del calcio espresso, delle strutture correlate, della spettacolarizzazione del prodotto, in modo che possa generare maggiori ricavi e quindi far ripartire il volano dei campioni».

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"È una Lega molto litigiosa dove è difficile portare avanti dei progetti innovativi"

Che impressione le ha fatto la giustizia sportiva? Veniva da un mondo completamente diverso e ha impattato contro un meccanismo che non sempre è coerente nei suoi trattamenti.

«Il grande stratega è stato il presidente, Gianluca Ferrero che ha approcciato la cosa in modo molto concreto e pragmatico. Abbiamo fatto delle scelte di confronto e di dialogo per non compromettere ulteriormente la classifica del campionato e, in questo modo, gestire in modo pratico anche la situazione europea, per riuscire a partecipare alla prossima Champions. Sulla disparità di giudizio tra noi e gli altri non so cosa rispondere. Diciamo che ci sono molte situazioni ancora pendenti, aspettiamo di capire come verranno giudicate e se verranno giudicate. Sicuramente la cosa che è peculiare nel caso della Juventus è che la precedente dirigenza è stata intercettata per mesi con migliaia di ore di intercettazione. Trattamento che non mi sembra sia stato, neanche in minima parte, riservato ad altri che avevano più o meno le stesse problematiche. Dopodiché, sul giudizio, sul trattamento definitivo, aspettiamo di vedere cosa succederà anche per gli altri».

Sulle liti interne del calcio italiano che idea si è fatto?

«Da sempre siamo tutti insieme, professionisti e dilettanti, però negli ultimi vent’anni almeno, il calcio professionistico è diventato un’industria che investe in modo ingente e sopporta rischi economici e finanziari enormi. Bisognerebbe tener conto di questi due fattori nel costruire la governance complessiva del calcio. Più che sulla tanto decantata “indipendenza” sarebbe importante concentrarsi sul giusto peso della Serie A nel calcio italiano. Perché poi, se la Serie A fosse in grado di creare un percorso virtuoso per la crescita, non è escluso che arriverebbero risorse ancora maggiori per tutta la filiera. Però... prima fateci sviluppare! Poi si troverà una modalità di ridistribuzione».

Provoco: cosa ve ne fate di un maggiore peso in Consiglio Federale se tanto poi in Lega Serie A non vi mettete mai d’accordo?

«Sì, è una Lega molto litigiosa dove è difficile portare avanti dei progetti innovativi. Anche in quel caso di tratta di trovare una progettualità comune per riuscire a svilupparsi».

Il Real ha sfondato il tetto del miliardo di ricavi. Per la Juventus sarà mai possibile competere con dimensioni economiche di quel tipo?

«Il Real è sicuramente la squadra che meglio di tutte ha saputo sviluppare il proprio progetto, avendo successi sportivi continuativi in tutte le competizioni e sviluppando benissimo anche tutto il brand e tutta la parte commerciale, avendo quindi le risorse per acquistare continuativamente i grandi campioni. Insomma è l’esempio più virtuoso che ci sia. Poi il confronto tra il fatturato della Juventus e del Real andrebbe fatto tenendo conto anche di alcuni vincoli specifici che abbiamo noi, come quelli della legge Melandri o il fatto che il loro stadio è più del doppio del nostro. Detto ciò, rimane una differenza enorme che deriva dalla loro capacità e dalla loro abilità. No, quindi, il gap economico non è certamente colmabile nel breve periodo, così come quello con le prime quattro o cinque squadre di Premier. Ma la bellezza del calcio è che per fortuna non giocano i soldi e i risultati possono essere slegati dal fatturato. Dobbiamo avere la capacità di costruire un gruppo forte che sia in grado di competere, seppur con diverso livello di costo della squadra. Certo è impressionante sapere che noi siamo l’undicesimo o dodicesimo fatturato d’Europa, ma fatturiamo la metà dei primi».

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"Ci piacerebbe costruire una casa per la Next Gen e per le Women"

E, oltretutto, il fairplay finanziario ragionando in termini percentuali, ovvero fissando al 70% il limite di spesa, non è in realtà un vero “fairplay”, cioè non pone un vero limite di spesa, come accade negli sport americani dove si ragiona in termini di cifra assoluta, non di percentuale.

«Credo che l’Uefa si ponga come obiettivo quello di forzare le squadre ad avere una sostenibilità economica non livellare la competitività economica. Io poi vedo un problema anche nel meccanismo di mercato, per cui se ti gira male un acquisto, rimani inchiodato, perché non hai nessun diritto sul tuo giocatore che ha sempre l’ultima parola».

Esiste ancora il progetto di costruire uno stadio per la Next Gen e le Women?

«Io penso di sì. È un progetto che prenderemo in analisi a breve se non già questa stagione, magari a partire dalla prossima. Sicuramente ci piacerebbe costruire una casa per la Next Gen e per le Women. Poi dove si farà, come si farà, non posso ancora dirlo. Però l’idea rimane nelle nostre volontà».

A proposito di Women: il progetto continua con lo stesso entusiasmo e convinzione di prima?

«Sì. Il calcio femminile ha un potenziale enorme ancora inespresso. Dobbiamo proseguire il percorso di crescita tecnica e aumentare le risorse commerciali, per esempio portando sponsor. In Spagna riempiono il Camp Nou, dobbiamo seguire quell’esempio».

State dando un’importanza enorme ai social: è quella la strada della comunicazione del club nel futuro?

«Non l’unica. È un progetto in cui crediamo molto e che ci sta dando enormi risultati. Tutto nasce da una riflessione: come continuare ad avere successo nel mondo social dopo la partenza di Ronaldo. Ma nello stesso tempo è un modo efficace per comunicare con le nuove generazioni, di vitale importanza per noi. Il “Creator Lab” per noi rappresenta un luogo in cui vengono creati dei contenuti che hanno diverse tipologie, lunghezze e formati, che vanno dalle serie tv ai post quotidiani».

Da uomo dei media (è anche amministratore delegato del gruppo Gedi) crede nella disintermediazione?

«La disintermediazione dell’informazione no! Assolutamente no. L’informazione è una cosa molto seria e va gestita con molta cura ed è proprio la funzione delle redazioni dei giornali, dei media in generale, quello di rappresentare la realtà così com’è, certificando le fonti e facendo dei commenti di retroscena che permettono alle persone sulla base della realtà di farsi un’idea, di avere un’opinione e, senza dubbio, questo non può essere garantito dal citizen journalism o dalle aziende che comunicano in modo diretto al pubblico. Noi con i nostri social vogliamo comunicare cos’è la Juve a un pubblico giovane e attirare la sua attenzione».

Cosa le chiedono i tifosi quando la incontrano per strada e cosa risponde loro?

«All’inizio per 6 mesi era sempre la stessa frase: “Mi raccomando: difendeteci e salvateci! Non fateci tornare in Serie B!” Erano preoccupatissimi di quel rischio. Poi, risolte le questioni giudiziarie, mi chiedono di tornare a vincere in fretta e di vedere un po’ di spettacolo in campo. Ecco, in particolare quelli che vengono allo stadio chiedono soprattutto un spettacolo migliore».

Vincere non è più l’unica cosa che conta?

«Calma, la vittoria resta importante e fondamentale per il tifoso juventino. Ma le nuove generazioni considerano anche altri fattori ed elementi. Nelle Olimpiadi appena concluse abbiamo apprezzato lo sforzo, la sofferenza, l’impegno. È qualcosa di nuovo che si affaccia nella cultura sportiva italiana che magari può diventare meno ossessionata dalla vittoria. Poi la Juventus è sempre la Juventus e la parola chiave deve restare “competitività”. Se vesti quella maglia devi ambire a vincere e dare tutto quello che hai per riuscirci. L’impegno viene sempre premiato dai tifosi juventini».

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"È una Lega molto litigiosa dove è difficile portare avanti dei progetti innovativi"

Che impressione le ha fatto la giustizia sportiva? Veniva da un mondo completamente diverso e ha impattato contro un meccanismo che non sempre è coerente nei suoi trattamenti.

«Il grande stratega è stato il presidente, Gianluca Ferrero che ha approcciato la cosa in modo molto concreto e pragmatico. Abbiamo fatto delle scelte di confronto e di dialogo per non compromettere ulteriormente la classifica del campionato e, in questo modo, gestire in modo pratico anche la situazione europea, per riuscire a partecipare alla prossima Champions. Sulla disparità di giudizio tra noi e gli altri non so cosa rispondere. Diciamo che ci sono molte situazioni ancora pendenti, aspettiamo di capire come verranno giudicate e se verranno giudicate. Sicuramente la cosa che è peculiare nel caso della Juventus è che la precedente dirigenza è stata intercettata per mesi con migliaia di ore di intercettazione. Trattamento che non mi sembra sia stato, neanche in minima parte, riservato ad altri che avevano più o meno le stesse problematiche. Dopodiché, sul giudizio, sul trattamento definitivo, aspettiamo di vedere cosa succederà anche per gli altri».

Sulle liti interne del calcio italiano che idea si è fatto?

«Da sempre siamo tutti insieme, professionisti e dilettanti, però negli ultimi vent’anni almeno, il calcio professionistico è diventato un’industria che investe in modo ingente e sopporta rischi economici e finanziari enormi. Bisognerebbe tener conto di questi due fattori nel costruire la governance complessiva del calcio. Più che sulla tanto decantata “indipendenza” sarebbe importante concentrarsi sul giusto peso della Serie A nel calcio italiano. Perché poi, se la Serie A fosse in grado di creare un percorso virtuoso per la crescita, non è escluso che arriverebbero risorse ancora maggiori per tutta la filiera. Però... prima fateci sviluppare! Poi si troverà una modalità di ridistribuzione».

Provoco: cosa ve ne fate di un maggiore peso in Consiglio Federale se tanto poi in Lega Serie A non vi mettete mai d’accordo?

«Sì, è una Lega molto litigiosa dove è difficile portare avanti dei progetti innovativi. Anche in quel caso di tratta di trovare una progettualità comune per riuscire a svilupparsi».

Il Real ha sfondato il tetto del miliardo di ricavi. Per la Juventus sarà mai possibile competere con dimensioni economiche di quel tipo?

«Il Real è sicuramente la squadra che meglio di tutte ha saputo sviluppare il proprio progetto, avendo successi sportivi continuativi in tutte le competizioni e sviluppando benissimo anche tutto il brand e tutta la parte commerciale, avendo quindi le risorse per acquistare continuativamente i grandi campioni. Insomma è l’esempio più virtuoso che ci sia. Poi il confronto tra il fatturato della Juventus e del Real andrebbe fatto tenendo conto anche di alcuni vincoli specifici che abbiamo noi, come quelli della legge Melandri o il fatto che il loro stadio è più del doppio del nostro. Detto ciò, rimane una differenza enorme che deriva dalla loro capacità e dalla loro abilità. No, quindi, il gap economico non è certamente colmabile nel breve periodo, così come quello con le prime quattro o cinque squadre di Premier. Ma la bellezza del calcio è che per fortuna non giocano i soldi e i risultati possono essere slegati dal fatturato. Dobbiamo avere la capacità di costruire un gruppo forte che sia in grado di competere, seppur con diverso livello di costo della squadra. Certo è impressionante sapere che noi siamo l’undicesimo o dodicesimo fatturato d’Europa, ma fatturiamo la metà dei primi».

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