Pagina 2 | La festa Juve e il telefono di Giuntoli che squilla: esplode la voglia pazza

Celebrata la tradizione, la Juventus si getta immediatamente nella realtà di un tempo nuovo che incalza, come testimoniava la postura e la fretta di Cristiano Giuntoli, aggrappato al telefono immediatamente mentre stava lasciando lo stadio (Todibo? Galeno?). Pochi minuti prima, invece, la rituale invasione di campo aveva chiuso, con 3 minuti di anticipo, la consueta amichevole simbolo della continuità di governo della “Real Casa”. Sotto gli occhi dell'attuale capo famiglia John Elkann e di 39 mila tifosi, la formazione di Thiago Motta ha battuto 4-0 la Next Gen che non ha per nulla sfigurato. Due tempi di mezzora ciascuno e un ritmo blando dentro una bolla di caldo appiccicaticcio non rappresentano certo le condizioni migliori da cui trarre indicazioni sul futuro: casomai, è meglio cominciare fotografando il presente. Quello che propone una distinta con 16 giocatori, tra campo e panchina e compresi tre portieri, rimanda a suggestioni antiche di calcio con impegni per nulla ipertrofici.

Juve, troppi esuberi da piazzare

Tutto il contrario, naturalmente, di quello che toccherà alla Juventus nel corso di una stagione in cui la aspettano come minimo 51 partite che, ovviamente, i tifosi sperano si dilatino perfino perché significherebbe andare avanti in Coppa Italia, Supercoppa e, soprattutto, Champions League. L'asciuttezza della rosa (essenziale quasi a specchiare la postura e l'abbigliamento di Thiago Motta, sempre in piedi davanti alla panchina) è determinata dal combinato disposto tra la scelta degli “esuberi da mercato” e la difficoltà di chiudere altre operazioni di mercato dopo quelle che hanno portato Di Gregorio, Cabal, Thuram e Douglas Luiz. E, insomma, un poco di straniamento lo si è provato nel non vedere in campo, in un appuntamento così significativo e identitario come l'amichevole di famiglia, gente come Szczesny, Rugani e, soprattutto, Chiesa (la lista comprende anche McKennie, Djalò, Kostic, Arthur, Milik e De Sciglio ma ovviamente il loro peso specifico emotivo è minore nell'immaginario tifoso) che pure sono ancora in rosa (aggiungete gli infortunati Miretti e Adzic).

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Dai fischi a Locatelli agli applausi a Thuram

Ma poi chissà, magari è giusto rivoluzionare a prescindere: i fischi di una parte dello Stadium a Locatelli certificano plasticamente come il passato lasci ruggini: aveva sbagliato due appoggi, così come Thuram ha perso un paio di palloni deliranti in uscita, ma è inevitabile che alle nuove fidanzate si perdoni tutto mentre le storie antiche si portano appresso i ricordi dei tempi duri, e divisivi. Altri, invece, lo hanno applaudito: divisivi, appunto. Quanto al gioco, in attesa dei nuovi arrivi, sia in mezzo sia sugli esterni d'attacco, Thiago Motta ha riproposto un 4-1-4-1 con distanze però ancora un po' troppo lasche tra i giocatori. Due gol casuali nel primo tempo, due spunti individuali nella ripresa hanno fissato le statistiche di un pomeriggio che, a prescindere da tutto, ha certificato come questa Juve abbia ancora bisogno di corpo e sostanza. Il resto è stato show para-calcistico. Quello iniziale con la canzone dell'americana Tia Tia e la trasmissione dell'intero pomeriggio sui canali social bianconeri (sulle maglie, non a caso, il Creator Lab) certificano plasticamente la volontà di andare incontro alle esigenze del pubblico più giovane, una fidelizzazione più che mai necessaria anche se poi sarà tutto da vedere, con il tempo, se il giochino potrà funzionare a prescindere dai risultati, in ossequio alla convinzione - più volte ribadita da John Elkann in questi suoi intensi giorni di sport - secondo cui le nuove generazione avrebbero un approccio più laico allo sport riguardo alla vittoria e alla sconfitta.

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Da Thuram a Yildiz, show bianconero

Conta che ci si diverta, insomma… E qualcosina ha obiettivamente divertito i 39mila spettatori dello Stadium (ingresso gratuito). A cominciare dal gol “a giro” di Thuram (giusto prima della sostituzione: tempismo degno di un mediano che deve coprire la difesa), dal tiro fulmineo di Yildiz (in mezzo a poco altro, per la verità, ma vabbè: lui sa di essere già forte comunque) e da qualche bel tocco di Douglas Luiz che possiede tecnica e la capacità di verticalizzazione che tanto è mancata alla Juve dello scorso anno. Quanto al gioco, quello è ancora imbozzolato e tutti si augurano che Thiago Motta sappia farlo volare in fretta. Magari insieme ai gol di Vlahovic ancora una volta, lui, preda delle proprie imprecisioni innescate dall'ansia di miracol mostrare. Ma pazienza: quella di ieri era “solo” una festa e tutti son pronti a perdonargli di non essere riuscito a spegnere la candelina del gol, quando e se segnerà quelli che contano.

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Dai fischi a Locatelli agli applausi a Thuram

Ma poi chissà, magari è giusto rivoluzionare a prescindere: i fischi di una parte dello Stadium a Locatelli certificano plasticamente come il passato lasci ruggini: aveva sbagliato due appoggi, così come Thuram ha perso un paio di palloni deliranti in uscita, ma è inevitabile che alle nuove fidanzate si perdoni tutto mentre le storie antiche si portano appresso i ricordi dei tempi duri, e divisivi. Altri, invece, lo hanno applaudito: divisivi, appunto. Quanto al gioco, in attesa dei nuovi arrivi, sia in mezzo sia sugli esterni d'attacco, Thiago Motta ha riproposto un 4-1-4-1 con distanze però ancora un po' troppo lasche tra i giocatori. Due gol casuali nel primo tempo, due spunti individuali nella ripresa hanno fissato le statistiche di un pomeriggio che, a prescindere da tutto, ha certificato come questa Juve abbia ancora bisogno di corpo e sostanza. Il resto è stato show para-calcistico. Quello iniziale con la canzone dell'americana Tia Tia e la trasmissione dell'intero pomeriggio sui canali social bianconeri (sulle maglie, non a caso, il Creator Lab) certificano plasticamente la volontà di andare incontro alle esigenze del pubblico più giovane, una fidelizzazione più che mai necessaria anche se poi sarà tutto da vedere, con il tempo, se il giochino potrà funzionare a prescindere dai risultati, in ossequio alla convinzione - più volte ribadita da John Elkann in questi suoi intensi giorni di sport - secondo cui le nuove generazione avrebbero un approccio più laico allo sport riguardo alla vittoria e alla sconfitta.

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