"Heysel, manca rispetto. E si coltiva con il ricordo"

Emilio Targia racconta la sua esperienza nel podcast dedicato: "Quando sento certi cori provo rabbia, anche per le istituzioni che non puniscono. Spero che raccontare quel dolore serva a cambiare"
"Heysel, manca rispetto. E si coltiva con il ricordo"© ANSA

Trentanove. Domani saranno trascorsi 39 anni dalla tragedia delle 39 vittime dello stadio Heysel di Bruxelles, morte a causa dei disordini nel prepartita della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. "È un numero che fa effetto - ammette Emilio Targia, caporedattore di Radio Radicale che quel 29 maggio 1985 era all’Heysel da neanche ventenne tifoso bianconero -. Ogni anniversario è drammatico, ma questo fa un po’ più effetto perché ricorda quel numero lì".

Come si sente quando si avvicina il 29 maggio?

"Non è sempre uguale. Le ferite non si riaprono e si richiudono in tempi simmetrici. Per il mio lavoro cerco di far sì che non si proceda solo per anniversari, ma provo a infilare la divulgazione sulla strage dell’Heysel anche durante l’anno. Dopodiché, inevitabilmente e anche giustamente il 29 maggio si accende una luce in più. Quello che mi preme però è 'fare manutenzione di memoria'. Sempre. Sempre. È una frase bellissima di Marco Paolini. Mi preme evitare che ci sia una 'giornata dell’Heysel', come ci sono altre 'giornate di”' e poi per 364 giorni non se ne occupa più nessuno".

È per combattere questa "propensione all’oblio" che ha sentito l’esigenza di scrivere due libri e ora realizzare un podcast?

"Quella è proprio una malattia italiana. Per questo cerchiamo di tenere alto il profilo della memoria: perché uno pensa che l’Heysel non possa essere dimenticato e non è vero. Nel silenzio, nell’approssimazione, maturano i germi di malattie che mutano la realtà dei fatti e la fanno arrivare distorta. Germi contro cui serve creare anticorpi. Il primo libro 'Heysel - Prova di memoria' era proprio una raccolta di memorie e documenti. Poi con Sperling & Kupfer abbiamo fatto 'Quella notte all’Heysel' perché mi ero un po’ stufato sentire raccontare l’Heysel da chi non c’era stato, leggendo anche ricostruzioni un po’ così... Il podcast, prodotto con Mondadori e ascoltabile gratis sulle principali piattaforme (Spotify, Spreaker, Apple Podcast, Amazon Music, ndr) si chiama 'Dentro l’Heysel' perché significa far entrare all’Heysel quelli che per fortuna non ci sono stati. Io avevo nemmeno 20 anni e mi ero portato una telecamera Super 8 e un registratore a cassette. Quei suoni e quelle voci sono nel podcast, di cui domani esce la 3ª puntata, e il sonoro aiuta tantissimo a percepire meglio quello che è successo. Anche grazie alla musica di Gianluca Casadei".

Cos’è mancato di più in questi anni?

"Il rispetto. Da chi ha scritto o raccontato a sproposito, da chi ha trattato l’Heysel come questione di fazioni calcistiche. E non lo è, perché sono morte 39 persone, di cui 7 non italiane e 32 tra le quali anche tifosi di altre squadre. E ovviamente quando parlo di mancanza di rispetto penso anche a certi cori negli stadi: chi offende le vittime dell’Heysel, non conoscendo quel dolore, continua a ferire, perché i familiari di 39 vittime e 600 feriti sono migliaia di persone. Un’offesa costante che non ha senso e che quasi sempre, inspiegabilmente, non viene punita. Da una parte quando li sento provo rabbia, da un’altra vorrei più attenzione dalle istituzioni, da un’altra spero che raccontare, soprattutto nelle scuole, possa servire: magari gettiamo un seme e in futuro quei ragazzini, conoscendo il dolore dell’Heysel, non trasformeranno in slogan un’offesa gravissima ai morti e ai familiari".

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