Juve, come gioca Thiago Motta? Dinamismo e i modelli Guardiola e Scaloni

Mai passive le sue squadre, né in possesso né senza palla, il tecnico si ispira al calcio posizionale di Pep e il relazionale dell’Argentina e della Fluminense di Diniz

Dal punto di vista del modello di gioco, il probabile arrivo di Thiago Motta sulla panchina della Juventus segnerà un cambiamento a trecentosessanta gradi rispetto a quanto visto nel triennio allegriano. Con Allegri in panchina, infatti, i bianconeri hanno praticato un calcio estremamente reattivo, fatto di pochi momenti di pressione alta, seguiti da ben più lunghe fasi di attesa, con la squadra che difendeva in blocco basso in attesa di risalire il campo in contropiede. In questo senso, lo stile di gioco di Motta è, appunto, diametralmente opposto. In linea generale, l’italo-brasiliano vuole una squadra protagonista in entrambe le fasi di gioco, attiva dunque sia con che senza la palla. Non è un caso che, mentre il possesso medio della Juve di Allegri quest’anno sia stato del 48.4%, quello del Bologna di Motta risulti essere il secondo dell’intera Serie A con il 57.8%, dietro soltanto al 61.1% del Napoli.

Motta, quali modelli: calcio posizionale e relazionale

Ma le differenze fra i due tecnici non si riducono solo alla quantità di tempo trascorso in possesso dalle rispettive squadre. Il gioco del Bologna di Motta è infatti anche più contemporaneo nei suoi principi. Sotto questo punto di vista, quello dell’italo-brasiliano è un modello misto, a metà strada fra una pura proposta di tipo posizionale (come quella di Guardiola o di Luis Enrique) e quelle di tipo funzionale (secondo la dicitura sudamericana) o relazionale (secondo la nomenclatura europea), come quelle della Fluminense di Diniz, dell’Argentina di Scaloni o del Malmö di Rydström. Qual è la differenza fra il modello proposto dal gioco di posizione e quello funzionale/relazionale? In linea di massima, mentre nel primo modello la priorità è l’occupazione degli spazi, con la palla che viaggia da giocatore a giocatore, nel modello relazionale l’accento è posto sulle relazioni/interconnessioni che vengono a crearsi fra i giocatori. Di conseguenza, mentre il gioco di posizione promuovere la creazione di strutture fisse (3-2-5; 2-3-5; 3-2-2-3, …) il gioco relazionale dà vita a situazioni più dinamiche e fluide. Motta, come un filosofo eclettico, prende da entrambi i modelli e, per questo, il suo Bologna ha una struttura - per così dire - mista, che può variare più verso il posizionismo o più verso il relazionismo o, ancora, presentare alcuni spazi che devono essere occupati (specialmente per vie esterne) e altri dove invece c’è una maggiore libertà di movimento (soprattutto nei corridoi centrali del campo, vale a dire in quello di mezzo e negli half-spaces).

Il Bologna e il Brasile del 1982

Così nel Bologna di Motta abbiamo visto un approccio più orientato al gioco di posizione (ad esempio contro avversari che marcavano di reparto) ed uno maggiormente relazionale (contro rivali che fanno della marcatura uomo contro uomo a tutto campo il proprio credo calcistico difensivo), ma anche situazioni - per l’appunto - miste, con esterni a riempire l’ampiezza e giocatori di mezzo ad associarsi cambiando continuamente la loro posizione. L’attacco del difensore centrale (Calafiori o Beukema) allo spazio in avanti rientra in questo contesto. Il “toco y me voy” (ovvero “passo e vado in avanti”) è infatti un marchio di fabbrica del Bologna e del modello funzionale. Non per niente lo utilizzava moltissimo la Nazionale del Brasile nel 1982. La squadra di Santana è uno dei punti di riferimento storici del gioco funzionale (esattamente come il Milan di Sacchi lo è di quello posizionale). La fase difensiva diventa una conseguenza di quella offensiva. Attaccando con molti giocatori, infatti, il Bologna ha poi la possibilità di riaggredire immediatamente in avanti a palla persa. D’altronde, se un difensore centrale ha, come detto, attaccato lo spazio, ritrovandosi con diversi compagni a fianco, perché dovrebbe arretrare correndo verso la propria porta quando può invece difendere in modo più efficace, aggredendo in avanti? Una delle tante domande alle quali, nelle ultime due stagioni, il Bologna di Thiago Motta ha risposto in maniera chiara.

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