Ci sono milioni di tifosi che vogliono l’esonero di Massimiliano Allegri, molti meno che lo vogliono tenere, ma fra questi c’è Andrea Agnelli e quindi l’allenatore è salvo. Almeno fino a novembre, quando necessariamente verranno tirate le somme e, avendo di fronte 50 giorni senza partite, l’ipotesi di esonero potrebbe prendere corpo sul serio. Perché se è vero che Agnelli non vuole mai cambiare tecnico prima della fine della stagione, bisogna considerare che quella del Mondiale è una pausa lunga quanto quella estiva. Nelle prossime otto partite, dunque, si può decidere il destino di Allegri che nemmeno la storica sconfitta contro il Maccabi è stata in grado di cambiare, nonostante la portata del crollo e i possibili danni che ne conseguiranno.
Vale, tuttavia, la pena cercare di comprendere il perché di una decisione così impopolare da sembrare eccentrica. Non è soltanto la ritrosia a cambiare le abitudini della casa che frenano il presidente, ma la volontà di non eclissare gli altri problemi dietro l’esonero di Allegri. Il timore di Agnelli, quindi, è che cambiare il tecnico possa suonare come un’assoluzione per tutti quelli che, insieme all’allenatore, hanno contribuito ai primi tre disastrosi mesi bianconeri (e alla delusione della scorsa stagione, che comunque non va dimenticata). La Caporetto juventino non può essere figlia di un solo generale e punirlo, anche se ne è maggiore responsabile, offrirebbe un nascondiglio per chi ha comunque delle responsabilità importanti. Quando Agnelli afferma che «si vince in undici e si perde in undici», ricorda a tutti (ben più di undici, perché oltre alla squadra include lo staff al completo e il gruppo dirigente) che tutti ne risponderanno. Ecco perché Allegri rischia a novembre e tutti gli altri dovranno comunque rispondere del loro operato a maggio, quando altri “esoneri” potrebbero aggiungersi a quello dell’allenatore se la situazione dovesse rimanere quella attuale (Juventus fuori dalla Champions e squadra ancora fiacca e senz’anima). Rischiano tutti: dai giocatori ai dirigenti. Rischia, per esempio, quelli che dovrebbe esprimere leadership nella squadra, ma non sono riusciti a fermare il deragliamento delle ultime settimane.
Dovranno rispondere quelli che hanno lesinato sull’agonismo. E tutti, all’interno del gruppo squadra così come del gruppo dirigente dovranno giustificare pensieri, parole, opere e omissioni. Un mea culpa generale per cambiare e ricominciare. O, come l’ha più sobriamente definita il presidente una verifica, di quelle che «la Juventus ha sempre l’abitudine a fare a fine anno. L’orizzonte temporale è quello». La conferma di Allegri, in questo senso, può anche essere una condanna o una punizione, per la serie: tu e la squadra vi siete ficcati in questo inferno, tu e la squadra ne dovete uscire, subendo critiche, fischi e umiliazioni nel caso non vi riuscisse. Fino alla fine? Eventualmente sì, perché Andrea non vuole fare sconti né in un senso né nell’altro, ma è ovvio che prima del mondiale ci sarà una verifichina, anche perché ci fosse qualcosa da salvare potrebbe convincerlo. Ma al netto di quello che succederà a novembre, milioni di tifosi juventini dovrebbero pensare a quello che potrebbe succedere da maggio.