La Juventus aveva avuto grandi attaccanti nel corso dei dieci anni del ciclo ( Tevez , Mandzukic , Higuain ...) e grandi campioni in ogni ruolo ( Pirlo , Pogba , Vidal , Dani Alves , Khedira ), ma tutti si erano adattati alla sacra legge del gruppo. Un gruppo che, per esempio, quando si trattatava di difendere si comportava come un branco, tutti per uno e uno per tutti, pronti a scambiarsi ruoli e compiti in nome della vittoria da portare a casa. Nella Juventus, per esempio, non ci si lamentava (platealmente) per un passaggio fuori misura, ma si incoraggiava chi aveva sbagliato. Insomma, Ronaldo non ha mai fatto parte del branco, neanche come capo. Ronaldo non ha mai partecipato alla fase difensiva.
Ora, prescindendo da qualsiasi ragionamento sull’opportunità o meno di coinvolgere CR7 in fase difensiva, l’effetto che ha avuto questa mancata partecipazione è lo sgretolamento della legge delle tre U che aveva cementato la Juventus fin lì: uguaglianza, umiltà e unità. Nel corso dei tre anni, questo effetto ha incrinato la disciplina dello spogliatoio, dove se la legge “non” è uguale per tutti, si aprono delle crepe pericolose (quelle che Allegri nei primi mesi di lavoro ha iniziato a stuccare) e come naturale riflesso sul campo ha fiaccatto la compattezza della squadra, dipendente dai suoi, per fortuna tanti, gol, ma anche più fragile e con dei momenti di incomprensibile deconcetrazione. Ma quindi Ronaldo e la Juventus erano incompatibili? No. Non si può sostenere che uno dei giocatori più forti della storia del calcio sia “incompatibile”, anche e soprattutto perché dei risultati sono stati ottenuti. Ma è altrettanto indiscutibile che i valori della Juventus, di questa Juventus, sono stati messi in crisi dal primadonneggiare di Ronaldo. E forse l’aveva capito anche Ronaldo stesso che, come dice Chiellini, «cercava altri stimoli». La sensazione, adesso, è che nessuno abbia rimpianti. Nessun rimpianto: quello di averlo portato a Torino e quello di averlo lasciato andare via.