TORINO - La conquista dell’America da parte della Juventus è iniziata un decennio fa, ma negli ultimi anni c’è stata una forte accelerazione, con l’arrivo di Cristiano Ronaldo, culminata dall’acquisto di WestonMcKennie, il primo giocatore a stelle e strisce nella storia del club bianconero. Gli Stati Uniti sono, al pari dell’Oriente, un mercato infinito da colonizzare e in cui diffondere il marchio, ma rappresentano pure un esempio da cui imparare per far sì che il calcio - e nella fattispecie la Champions League - diventi un evento sportivo globale come il Super Bowl e un modello da imitare per il modo in cui un club viene gestito. L’esempio è il Manchester United, precursore di strategie di marketing su scala globale che ha applicato all’industria calcistica il business model americano di un’impresa di intrattenimento a caccia di profitti.
Dalle academy alla doppia J
Il primo passo bianconero risale al 2010 quando il presidente Andrea Agnelli e l’allora ad Jean Claude Blanc decidono di aprire le prime Academy, a New York, Miami e Sparta-New Jersey. Scelta geografica strategica, ma anche culturale: la passione per la Juventus si costruisce fin da bambini, inculcandone il dna. Con il tempo è nata l’Academy di Boston e sono cresciuti i Training Camp estivi, espandendosi anche in Texas, Illinois, Colorado, Massachusetts e Ohio. Se poi ad allenare c’è Alessandro Del Piero, il successo è assicurato. Un anno fa la leggenda bianconera, che negli States è di casa perché ci vive, ha aperto un ristorante, ha acquistato una villa da sogno a Bel Air, in mezzo alle star di Hollywood, è co proprietario di una squadra di calcio, gestisce anche tre ADP10 Soccer Academies ed è stato impegnato come tecnico nella Juve Academy di Los Angeles. Ma è il cambio del logo, con la doppia J stilizzata, nel 2017, a far compiere un ulteriore passo avanti alla Juventus per imporsi come brand mondiale. Il modello sono i New York Yankees, la società di baseball che ogni anno stampa il proprio logo su milioni di articoli. E che vende magliette e cappellini pressoché ovunque, anche nei paesi in cui nessuno segue il baseball. Seguendo le leggi del marketing, la Juventus vuole diventare un marchio popolare non solo fra gli appassionati di calcio, ma anche tra i bambini, il pubblico femminile e le nuove generazioni, i millennials, conquistati anche dallo sbarco della squadra, che per cinque volte nell’ultimo decennio è stata di scena negli stadi Usa con le tournée estive e la partecipazione all’International Champions Cup.
L’effetto CR7
L’arrivo di Cristiano Ronaldo alla Juventus ha fatto il resto. Il colpo del secolo ha regalato al club bianconero una dimensione planetaria a tutti i livelli: la fama di CR7 supera ogni confine e al tempo stesso calamita su di sé (e la sua squadra) interessi, sponsor, attenzioni, follower, riflettori, telecamere. CR7 muove risorse economiche come solo, appunto, può LeBron James nel mondo dello sport. L’asso portoghese ha consentito alla società bianconera di allargare ulteriormente il proprio orizzonte, un po’ nella scia di mercato globale che la Nba e le sue stelle possono vantare. La vendita delle magliette è raddoppiata imponendosi in un mercato difficile come quello americano, dove altri club sono stati pionieri e ne hanno tratto i maggiori benefici. Nell’autunno 2018 il portale soccer.com ha rivelato che la Juventus è regina in quattro stati (Florida, West Virginia, Wyoming e Utah), diventando una delle otto società che si spartiscono gli States. In cima alla classifica ovviamente il Manchester United, con 11 stati, seguito da Barcellona (9) e Liverpool (8). Ma il modello Usa è anche nei pensieri del presidente Andrea Agnelli, manager attento alle dinamiche degli sport americani e nel suo impegno per il calcio europeo ha individuato nel modello Usa, in particolare un evento planetario senza precedenti come il Super Bowl, una strada da seguire. Con McKennie, che da piccolo si è diviso tra calcio e football, sarà un’impresa più semplice.