«M’avessero detto che avrei esultato per uno scudetto della Juventus». Ride Aurelio Virgili, ride di gusto. Ieri mattina, invece, quasi piangeva. «Quando mi sono reso conto della dedica di Maurizio ammetto che l’emozione è stata forte. Ci lega una bella amicizia. Sentirlo dire che mi dedicava lo scudetto, per il tempo che mi toglie. Che poi poteva dedicarlo al presidente, oh è pur sempre uno scudetto, ma lui certe ruffianate non le fa. Ha fatto i complimenti alla società, che tra l’altro lo ha proprio colpito per la straordinaria organizzazione, ma lo scudetto l’ha dedicato agli amici. Maurizio è fatto così: un grande uomo prima di essere un grande allenatore». Virgili è l’amico del cuore di Sarri, la persona con la quale il tecnico juventino si confida alla vigilia di ogni partita confrontandosi su calcio, vita e affini.
Virgili è fiorentino totale, figlio di Giuseppe, detto Pecos Bill, leggenda della Viola scudettata del 1956. E questo rende l’esultanza allo scudetto juventino un paradossale cortocircuito calcistico: «Se esagero con la gioia e gli aggettivi mi tagliano le gomme». torna a ridere. «L’altra sera ero a cena con mia mamma e mio fratello, anche loro sono saltati in piedi ai due gol della Juventus. Mia mamma dice sempre: ne ho conosciuti tanti nel mondo del calcio, ma Maurizio è particolare, è un grande uomo, perché non si è mai montato la testa. Anche lei tifava Juventus quest’anno, d’altra parte l’anno scorso tifavamo per il Chelsea di cui, detto sinceramente, non me n’è mai fregato niente». Questione di cuore, comprensibile.
«Quest’anno Maurizio è sempre stato tranquillo. Ha sempre sentito la fiducia della società e le critiche se l’è fatte scivolare addosso. C’è sempre stato un equivoco di fondo: lui non doveva replicare il Napoli in bianconero. Gli era stato chiesto altro, prima di tutto di vincere, e poi un cambiamento di quel genere non si realizza in una stagione. Adesso tutti hanno in mente il Napoli che giocava alla grande, ma all’inizio non arrivavano i risultati, la squadra faticava e Maradona aveva detto che avrebbero fatto meglio a chiamare suo zio ad allenare. Maurizio non rispose a quella provocazione, anche perché era Maradona, ma nel frattempo ha lavorato e ha forgiato quel Napoli. Vedrete la Juventus dell’anno prossimo: sarà certamente meglio di quella di quest’anno sotto il profilo del gioco».
E magari profilata meglio sulle esigenze dell’allenatore campione d’Italia: «Lui per carattere non chiede niente e la sua filosofia è quella di non mettere becco sul mercato. Non ha detto nulla neanche sullo scambio che hanno già fatto, quello fra Arthur e Pjanic. Mi ha detto che è stata soprattutto un’operazione economica, ma sa già tutto di questo ragazzo del Barcellona e gli sembra buono. Certo se gli prendessero Jorginho sarebbe il migliore premio scudetto e lo farebbero certamente felice, perché è il tipo di giocatore ideale per lui, uno che velocizza il gioco e tocca centinaia di palloni ogni gara. Un po’ quello che doveva fare Pjanic quest’anno. Ma Sarri non è certo uno che punta i piedi sul mercato. Si è trovato la Juventus già fatta e lui si è adattato. Con Rabiot ha fatto un gran lavoro psicologico, Dybala invece ha goduto della sua filosofia di gioco. Quello che l’ha impressionato di più? Demiral non lo conosceva e lo ha stupito, ma De Ligt lo ha proprio sorpreso. Dopo il primo colloquio mi ha detto: che robot che è. Ha vent’anni e ha la testa di Ronaldo».