Omicidi, minacce, paura in città: solo la Juve contro, al calcio va bene così?

Il club bianconero ha denunciato la criminalità che si sta propagando nel massimo sport italiano e pagato per questo, il resto invece è omertà

A inizio settembre, il terrificante omicidio di Antonio Bellocco, uno dei leader della curva interista. La scorsa settimana, l’ex amministratore delegato della Roma, Lina Souloukou e suoi figli (tre e otto anni!) sono stati messi sotto scorta perché la loro incolumità era minacciata. Ieri, gli ultrà di Genoa e Sampdoria hanno messo a ferro e fuoco alcune zone di Genova. Nel giro di un mese il calcio italiano ha perso tre volte, senza che nessuno si sia sentito in dovere di fare, almeno, un esame di coscienza. Il fatto che le curve siano un territorio con delle leggi a parte, anzi senza leggi, sembra purtroppo essere dato per assodato dalle società e, in parte, anche dalle forze dell’ordine, che devono usare risorse economiche e umane per arginare un problema, senza riuscire a risolverlo (si curano i sintomi e non la malattia).

E intanto nelle curve si infiltra la malavita organizzata, attirata non certo dal tifo, ma dalle facili opportunità di business in un luogo senza Stato. Mentre le società fanno spallucce e subiscono la situazione, cercando di evitare guai più grossi, che poi è il mantra di tutti riguardo l’argomento: minimizzare i danni, accettando quelli collaterali. Ma questo, solo nell’ultimo mese, ha significato accettare un omicidio; il fatto che una manager (e la sua famiglia!) debbano viaggiare sotto scorta per l’esonero di un allenatore e una città messa sottosopra per un derby. E chissà cosa altro ci aspetta nel resto della stagione.

In curva ci sono anche i veri appassionati

Vero, bisogna essere pragmatici e non troppo idealisti quando si parla di ordine pubblico, tuttavia, quanto si deve abbassare l’asticella della tolleranza sul tema delle curve? Quanto devono abbassarla le società e anche i tifosi da curva veri? E per “veri” si intende quelli che esprimono la passione indispensabile ad animare uno stadio e che molto spesso danno grandi dimostrazioni di umanità e solidarietà (la costruzione di ospedali da campo ai tempi del Covid o l’aiuto nelle zone alluvionate dell’Emilia Romagna sono solo i due esempi più recenti di un lungo elenco).

I fatti criminali legati al calcio, infatti, non sono solo un inaccettabile problema sociale, ma infangano anche chi, per una sana e legittima passione sportiva, compie sacrifici e contribuisce allo spettacolo. Il calcio, però, è omertoso. Tutti sanno tutto, tutti conoscono tutti, ma tutti fanno finta di niente. Spesso le forze dell’ordine vedono i loro sforzi vanificati dall’estenuante lunghezza dei tempi della giustizia. Spesso le società preferiscono scendere a patti e cedere ai ricatti, considerando questo un costo accettabile (e inevitabile).

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L'esempio della Juve

Ma a furia di accettare questa situazione, il calcio perde credibilità e se ci sono problemi che creano danni economici più diretti e concreti al sistema, la notizia che la più alta dirigente della Roma, peraltro di fama internazionale, sia messa sotto scorta non aiuta l’immagine del nostro calcio, così come gli scontri di Genova o il razzismo che si annida in certi stadi. E, comunque, il problema è prima di tutto etico: come si fa a tollerare, in un Paese civile, che esistano delle zone franche in cui niente è punibile e che queste zone franche siano adiacenti allo sport?

In Italia ci sono esempi di società che hanno rotto l’omertà e dato il loro contributo concreto per estirpare la malavita delle curve. L’esempio più eclatante e recente lo ha dato la Juventus, con le denunce effettuate nell’ambito dell’inchiesta “Alto Piemonte” sulla ‘Ndrangheta piemontese. Il club ne ha pagato pesantemente le conseguenze, tra le altre cose in termini di calore dello Stadium. La sensazione, brutta, è che la Juventus sia rimasta isolata, lasciata sola dal calcio, e che quella decisione di aprire un fronte per risolvere questo problema non abbia avuto neanche un alleato. E quindi restiamo così, nascondendo la cronaca nera sotto il tappeto verde. Non è successo niente, circolare.

Caso Ultrà: trova le differenze tra Juve e Inter

 

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A inizio settembre, il terrificante omicidio di Antonio Bellocco, uno dei leader della curva interista. La scorsa settimana, l’ex amministratore delegato della Roma, Lina Souloukou e suoi figli (tre e otto anni!) sono stati messi sotto scorta perché la loro incolumità era minacciata. Ieri, gli ultrà di Genoa e Sampdoria hanno messo a ferro e fuoco alcune zone di Genova. Nel giro di un mese il calcio italiano ha perso tre volte, senza che nessuno si sia sentito in dovere di fare, almeno, un esame di coscienza. Il fatto che le curve siano un territorio con delle leggi a parte, anzi senza leggi, sembra purtroppo essere dato per assodato dalle società e, in parte, anche dalle forze dell’ordine, che devono usare risorse economiche e umane per arginare un problema, senza riuscire a risolverlo (si curano i sintomi e non la malattia).

E intanto nelle curve si infiltra la malavita organizzata, attirata non certo dal tifo, ma dalle facili opportunità di business in un luogo senza Stato. Mentre le società fanno spallucce e subiscono la situazione, cercando di evitare guai più grossi, che poi è il mantra di tutti riguardo l’argomento: minimizzare i danni, accettando quelli collaterali. Ma questo, solo nell’ultimo mese, ha significato accettare un omicidio; il fatto che una manager (e la sua famiglia!) debbano viaggiare sotto scorta per l’esonero di un allenatore e una città messa sottosopra per un derby. E chissà cosa altro ci aspetta nel resto della stagione.

In curva ci sono anche i veri appassionati

Vero, bisogna essere pragmatici e non troppo idealisti quando si parla di ordine pubblico, tuttavia, quanto si deve abbassare l’asticella della tolleranza sul tema delle curve? Quanto devono abbassarla le società e anche i tifosi da curva veri? E per “veri” si intende quelli che esprimono la passione indispensabile ad animare uno stadio e che molto spesso danno grandi dimostrazioni di umanità e solidarietà (la costruzione di ospedali da campo ai tempi del Covid o l’aiuto nelle zone alluvionate dell’Emilia Romagna sono solo i due esempi più recenti di un lungo elenco).

I fatti criminali legati al calcio, infatti, non sono solo un inaccettabile problema sociale, ma infangano anche chi, per una sana e legittima passione sportiva, compie sacrifici e contribuisce allo spettacolo. Il calcio, però, è omertoso. Tutti sanno tutto, tutti conoscono tutti, ma tutti fanno finta di niente. Spesso le forze dell’ordine vedono i loro sforzi vanificati dall’estenuante lunghezza dei tempi della giustizia. Spesso le società preferiscono scendere a patti e cedere ai ricatti, considerando questo un costo accettabile (e inevitabile).

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