"Trapattoni vattene"
Cose mica così lontane dalla verità: nell'intervallo di quella partita può finire un'era e accelerare una nuova rivoluzione. Nell'intervallo di quella partita anche Baggio sta rimandando il decollo verso i cieli internazionali. Nell'intervallo di quella partita Trapattoni non dice granché. Quello che voleva fare lo ha già fatto, una manciata di minuti dopo il gol di Weah, al 30' del primo tempo, togliendo Marocchi e mettendo dentro Paolo Di Canio con il compito di... inventarsi qualcosa, lasciando Conte e Platt in mezzo. E il tornante ha iniziato a dribblare tutto quello che si poteva dribblare, anche i fili d'erba se necessario, senza però produrre qualcosa di concreto a livello di occasioni.
Anzi il secondo tempo inizia con una grande parata di Rampulla. E il rumoreggiare del pubblico juventino alza la pressione. Nella curva Scirea appare uno striscione con due parole: "Trapattoni vattene". Insomma, prosa, non poesia. E sembra quasi un segnale. Perché un minuto dopo, è il decimo del secondo tempo, Di Canio appoggia delicatamente sui piedi di Ravanelli in area, Ravanelli vede Baggio che arriva al limite dell'area e gli offre il pallone come probabilmente un garzone di bottega porgeva il pennello a Raffaello. Baggio non dipinge, però con il destro calcia il pallone che traccia una retta perfetta che finisce in rete accarezzando il palo. Uno a uno. Baggio esulta. Lo stadio con lui.
Baggio e la dedica "per pochi"
Lo striscione scompare, appallottolato alla bell'e meglio sotto la balaustra. Resta uno dei misteri più umani e divertenti come nel calcio si passi in modo assai repentino, tipo un paio di secondi, dal momento di contestare al momenti di crederci. Ma, appunto, è un mistero ed è inutile farsi domande, bisogna crederci, spingere e sperare. Anche perché non è un mistero che l'adrenalina dell'ultima mezzora è una delle ragioni per le quali si ama quell'infernale gioco che si ostinano a chiamare sport e invece è solo il football. Di Canio è indiavolato. I difensori francesi lo vedono spuntare ovunque e sparire alla stessa velocità dalla loro vista (e dalle loro gambe), lui corre, dribbla, inventa e... sbaglia. Se ne mangia due piuttosto facili e getta un po' di scoramento nella truppa, anche perché il Paris, soggiogato nella sua metà campo, qualche contropiedino pericoloso lo azzecca e per fortuna Rampullone azzecca la parata. Ma c'è Baggio, che fluttua sulla trequarti, e fin che c'è lui c'è speranza.
Anche se il cronometro dice novanta. Un lancio da centrocampo cerca Vialli che aggancia al limite dell'area e viene tirato gi ù da un difensore francese. Punizione. Ultima concreta possibilità per vincere. Baggio va sulla palla con calma buddista, la sistema con cura, guarda la barriera, prende due passi di rincorsa, se la fa toccare e calcia in modo sublime, disegnando una traiettoria che Lama, il portiere del Psg, non può intercettare in nessun modo. Il tiro si infila perfetto sotto l'incrocio. Il vocione elegante di Bruno Pizzul si alza di qualche decibel per un "sìììì Baggio, due a uno". Lo stadio esulta, Vialli impazzisce e cavalca in modo boccaccesco la bandierina del calcio d'angolo, È il trionfo di Baggio, la salvezza della Juventus che tiene in piedi la speranza di conquistare la finale. "Lo dedico a chi mi ama. Purtroppo in pochi", dice alla fine godendosi il momento a modo suo.
Il titolo de l'Equipe: "Baggio, c'est plus facile"
Platini in tribuna innesta con classe la retromarcia dopo lo sciovinismo prepartita: "Baggio è stato fantastico, è impossibile fermare uno come lui. Per il ritorno consiglio una marcatura a uomo, ma è diventato un campione che trascina la squadra"». Michel lo aveva sempre un po' snobbato e addirittura declassato da 10 a 9 e 1/2, pronuncia parole che promuovono il suo erede in bianconero e pesano in Francia. L'Équipe titolerà: "Baggio, c'est plus facile". Insomma, lo stanno capendo anche i francesi, che poi sono quelli che assegnano il Pallone d'Oro. Nella partita di ritorno la Juventus deve lasciare a casa Kholer, Dino Baggio e Conte, tutti ammoniti nella notte di Torino. E il Psg crede nel ribaltone.
Ma al Parco dei Principi c'è un solo re e si chiama Roberto Baggio e un solo generale e si chiama Trapattoni. Il re inventa e spaventa i francesi ogni volta che spunta nella loro metà campo il pallone. Il generale fa scavare una trincea al limite dell'area juventina e la difende come fosse il Piave. Alla fine Vialli indovina un tiro da fuori che Baggio corregge in rete. E finisce 1-0 per la Juventus, con la terza rete su tre del divino Roby. I francesi s'incazzano, come da copione, ma poi si fanno furbi, gli aggiungono un accento sulla "o" e lo adottano. "Baggiò è degno del Pallone d'Oro", dicono subito (e Platini benedice l'affermazione) ed essere battuti da un Pallone d'Oro è, in fondo, meno disonorevole.
Baggio ha dediche meno polemiche nella serata parigina, il gol lo divide con il suo amico Vialli, un altro che non riesca a stappare il suo tormento (dovrà aspettare solo un’altra stagione). A Parigi è nato un nuovo Baggio, un campione internazionale che si consacrerà nella doppia finale con il Borussia Dortmund, orchestrando il 3-1 al Westfalen e il 3-0 al Delle Alpi, dove il 19 maggio 1993 alzerà in alto la Coppa Uefa, il primo grande trofeo ad affiancare quelli vinti nei bar, la coppa che per un attimo dà senso a tutta la sofferenza e, puntata in alto, verticale verso il cielo, indica il suo futuro. Sempre un po’ tormentato, ma tanto vincente. E soprattutto bello.
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