Yildiz “qualcosa di diverso”, Inter-Juve, San Siro, Sinner: Barzagli esclusivo

Intervista all’ex difensore e leggenda bianconera, oggi commentatore Dazn: “Bremer ha fatto uno scatto, nerazzurri più forti ma…”

Buongiorno Barzagli, domenica c’è Inter-Juventus, ci perdoni se entriamo in modo scomposto, da difensori un po’ rudi? Inter-Juventus 2-3, 28 aprile 2018, al 20’ del secondo tempo, una serie di errori culmina con il tuo che mette la palla nella sua porta per il 2-1 dei nerazzurri. In quel momento, in tribuna stampa c’è chi osserva sbalordito: se sbaglia Barzagli, forse sta davvero finendo un ciclo: è il primo errore in nove anni... Cos’hai pensato in quel momento?

"È stato uno dei momenti più difficili della mia carriera, che allora stava avvicinandosi alla fine. Sentivo la stanchezza e un po’ di mancanza di lucidità. In quel momento ho sentito il mondo crollarmi addosso, il pensiero che mi torturava era: stiamo perdendo lo scudetto per un mio errore. Poi quella partita finì in modo folle. E di quell’errore non si parla più, a parte adesso che me l’avete ricordato, grazie! (ride)".

Ci spieghi com’è la settimana di Inter-Juventus?

"È una settimana carica, magari tranquilla sul fronte degli allenamenti, ma il clima... Beh, c’è il fuoco! È una partita molto sentita, per i club, per i tifosi e in questo frangente anche per la classifica. L’impatto che può avere questa partita sul campionato è forte, quindi sarà una settimana particolare e intensa. E un giocatore non riesce a non pensarci del tutto. Qualsiasi dettaglio ti riporta all’importanza della partita, fosse anche solo un amico che ti chiede un biglietto".

Su cosa bisogna focalizzarsi dal punto di vista psicologico per evitare errori?

"Gestire l’effetto San Siro. E vale soprattutto per la Juventus. L’impatto dello stadio su questa partita è micidiale, perché in una partita del genere la spinta del pubblico, soprattutto all’inizio, è forte. Quindi, pronti via, la botta degli ottantamila può essere un fattore: deve essere brava tutta la squadra a non subirla, a reggere l’urto, mantenendo la concentrazione alta, facendo vedere all’Inter che rispondi colpo su colpo. Poi lo stadio ti si spegne un po’ nella testa via via che la partita va avanti".

Ma quindi l’impatto di San Siro, lo senti sempre, anche se hai trent’anni e sei un giocatore navigato?

"In una partita del genere, gli ottantamila di San Siro, nonostante ci saranno molti juventini mischiati, sono tanti. L’impatto è potente, perché lo stadio è enorme, è storico, perché dove guardi vedi una muraglia di gente e capisci il peso e l’importanza della partita".

Come ti prepareresti a una partita del genere? Tipo: come studieresti la marcatura a Lautaro che potrebbe toccare a Bremer?

"La tecnologia ti consente di studiare, attraverso i filmati, i movimenti dell’attaccante. E dettagli importanti come chi lo fornisce di solito, dove gli piace più tagliare. Puoi studiare a fondo il tuo avversario per prevederne le mosse e leggerne i movimenti, ma non puoi ridurre tutto a un solo giocatore, anche se è Lautaro, perché poi in campo è tutta un’altra cosa. Cioè lo studio è importante, ma nella partita succedono talmente tante cose...".

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Riesci a ricordarti quello che hai studiato quando sei nel pieno della trance agonistica della partita?

"Sì, a volte ti viene naturale, se vedi molti video e ti ritrovi in una situazione sai che devi portarlo sull’altro piede, ci pensi e lo fai. Poi ci sono dei giocatori che anche se conosci quella mossa, loro ci riescono lo stesso, perché il gesto di un campione è sempre perfetto".

L’arte di difendere si può insegnare? Tu ti sentiresti di essere un maestro di difensori?

"Sì. E sarebbe il caso di insegnarla. Sono di quelli che vogliono l’insegnamento della marcatura ai ragazzi. Marcare è una cosa difficile e faticosa, dà molte responsabilità, ma se insegni a un ragazzo a marcare, a usare le braccia, il corpo e le traiettorie, non ti preoccupare che saprà sempre giocare a zona, ma lo farà sapendo marcare, che è fondamentale. Perché se ti dicono: 'marca' e non sai marcare... l’è dura. Ci sono sempre meno marcatori puri, il ruolo si evolve, molti ora guardano solo la palla e sono abilissimi, ma se sai marcare è un aiuto in più e lo si deve insegnare ai ragazzi".

Nella tua nuova vita di commentatore di Dazn incroci spesso con Allegri, tuo allenatore per molti anni e anche amico. Com’è interagire con lui in tv? Capisci quello che vuole dire veramente quando fai i suoi giri di parole? Hai una specie di traduttore automatico nella testa?

(ride): "Quelle interazioni televisive sono molto formali, quando siamo insieme senza microfoni parliamo più liberamente. In tv a volte non risponde neanche alla mia domanda, ma parte con i suoi concetti. Anche perché oggi gli allenatori usano tutte le uscite pubbliche per mandare messaggi: agli avversari, alla società o alla squadra stessa, per ribadire la direzione o la linea. In questo Max è molto bravo, forse il più bravo di tutti. E quest’anno è davvero molto lucido, con quel gusto per il sarcasmo sempre voluto e calcolato".

Se la Juventus perde a San Siro è finito il campionato?

"No, non è finito, però dai una spinta notevole all’Inter, un turbo alla consapevolezza, si sentirebbe veramente forte. Poi, per carità, il campionato non finisce lì, perché non puoi pensare di gestire fino all’ultima giornata, soprattutto con la Champions di mezzo, ma se vincesse l’Inter l’impatto sulla classifica e sulla condizione psicologica di entrambe le squadre sarebbe forte. Così come se vincesse la Juventus, darebbe una spallata poderosa all’umore del’Inter. Non è una partita che 'decide' il campionato, ma che ne può cambiare gli equilibri e inciderà sullo stato psicoemotivo delle due squadre. Il pareggio, secondo me, è più favorevole alla Juventus, perché significherebbe rimanere lì e togliere all’Inter la possibilità di distanziare la Juventus, in una partita con tutto il pubblico dalla tua parte. Anche andando a -4 con la partita da recuperare dell’Inter, la Juventus resterebbe attaccata e potendo preparare una partita a settimana. L’Inter ha la Champions".

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E una “rogna” chiamata Atletico Madrid.

"Saranno due partite difficilissime, perché l’avversario è duro. Ma la Champions porta via energie nervose a prescindere, perché dagli ottavi senti l’importanza del palcoscenico, la pressione e la grandezza degli avversari che affronti. Questo non significa che l’Inter non possa gestire l’impegno, anzi... ha una rosa molto ampia".

A proposito: è più forte la rosa dell’Inter o della Juventus?

"Per me quella dell’Inter, ma non di tantissimo, perché la Juventus ha comunque giocatori forti e pagati tanto. Ma l’Inter, negli anni, ha accumulato giocatori più pronti che sono al massimo della loro maturazione. La forza della Juventus di quest’anno è l’aver saputo inserire dei giovani che hanno saputo impattare in modo clamoroso sul rendimento. Se la Juventus è seconda lo deve all’aver trovato questi giovani, perché sapete cosa succede?".

Che cosa?

"Questo sono ragazzi che hanno personalità, sempre indispensabile per giocare nella Juventus, e non hanno paura di sbagliare, quindi si crea una concorrenza vera in settimana, soprattutto con un allenatore come Allegri che ha dimostrato di saper dare loro fiducia, quindi tutti partono sapendo che il posto non è assicurato. E questo alza sempre il livello".

L’innamoramento collettivo per Yildiz è giustificato?

"Guarda, ha qualcosa di diverso dagli altri, perché il dribbling adesso è una cosa rara nel calcio, ce ne sono pochi che lo praticano bene e di solito stanno nelle grandissime squadre. La Juventus ha anche Chiesa che dribbla, ma ha caratteristiche diverse perché lui strappa, Yildiz meno, perché tende più a inventare giocate potenzialmente geniali. Insomma, sembra forte forte. Aspettiamo perché è giovane, ma da quello che si è visto la Juventus ha un bel gioiellino. Poi ci vogliono pazienza e cautela".

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E il suo “fratellino” Hujisen? Da difensore che giudizio dai?

"L’ho visto poco con la Juve e adesso con la Roma. Grande personalità e grandi linee di passaggio oltre ad avere un bel fisico. Ha futuro ma lo deve costruire con prestazioni ed errori dat a la giovane età".

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Ti aspettavi una simile crescita di Bremer?

"Che lui fosse un difensore forte lo sapevo. Può giocare uno contro uno, è veloce, non ha paura del duello, sa marcare... Fino all’anno scorso però aveva dei momenti di vuoto che ora sembra non avere più, quindi ha trovato la qualità fondamentale per un difensore: la continuità, perché non sta sbagliando praticamente nulla. Ora non deve perderla perché è fondamentale: è quella che fa la differenza tra un ottimo difensore e un grande difensore".

Chi ti piace di più dei tre centrali dell’Inter?

"Acerbi è quello che, secondo me, è arrivato al pieno della sua maturità: affidabile, di personalità, sempre in partita. Anche Bastoni è in crescita evidente ed è il giocatore perfetto per questa Inter, data la sua capacità di palleggio e la personalità che non gli manca. Ma ha ancora margini di miglioramento".

Nedved diceva che il centrale matura veramente a trent’anni per come si è evoluto il ruolo.

"Diciamo che, al di là delle qualità tecniche personali, il livello di lettura delle situazioni cresce con l’età. Il grande difensore deve accumulare errori e situazioni, immagazzinarle nel suo chip e questo, a un certo punto, gli consente di acquisire serenità e capacità di gestire ogni situazione. Negli ultimi anni io vedevo Giorgio e Leo che, nelle partite un po’ più facili, si potevano permettere di giocare solo di lettura, posizionandosi bene. Ovvio, se poi c’era un attaccante più pericoloso, uno con i colpi, allora cambiavano modalità e diventavano molto più attivi nello scontro".

Cos’è la cosa più bella capitata al campionato?

"Guarda, ce ne sono tante. Prima: la battaglia fra Inter e Juve che può diventare appassionante. Seconda: la lotta per la retrocessione con le tre neopromosse che in questo momento sarebbero salve, il che dimostra la preparazione di allenatori e società. Terza: mi ha stupito in modo positivo il ritorno di Di Francesco, che ha avuto coraggio a rimettersi in gioco con il Frosinone, squadra giovane ma costruita bene. Quarta: Palladino e Gilardino che stanno confermandosi bene. Quinta: la conferma di Italiano come grande allenatore e di Thiago Motta, che mette nel Bologna la sua enorme intelligenza calcistica".

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Thiago Motta era sottovalutato da giocatore e forse, all’inizio, anche da allenatore. Eppure chi ci ha giocato non ha dubbi: un genio.

"Giocare con lui è come giocare con un computer a cui dai la palla e lui sa esattamente qual è la cosa migliore da fare. Un po’ diverso da Pirlo, per parlare di un altro genio. Pirlo usciva da una situazione difficile, magari inventandosi un passaggio pazzesco. Thiago riceveva palla in qualsiasi condizione, anche la più difficile, e ne usciva con la giocata più semplice, perché era la più efficace. Come dice Allegri: giocare semplice è la cosa più... difficile nel calcio, Grande verità!".

Cosa ti rimane degli otto scudetti con la Juventus?

"Mi rimane un periodo intenso, bellissimo, nel quale si sono alternate varie squadre con la stessa capacità di avere un gruppo ben allineato per vincere. Io resto un grande nostalgico del primo scudetto da dove tutto è partito, a differenza del presidente Agnelli che guardava sempre a quello successivo, io ho nel cuore quel primo titolo. Dall’inaugurazione dello Stadium in poi è stata una stagione pazzesca, nella quale si è impressa quell’accelerazione che ha portato i successivi otto scudetti. Quell’anno non eravamo i più forti, ma siamo stati i più bravi. Ma di tutto quel ciclo mi rimane l’incredibile capacità di rivincere, perché fidatevi che rivincere è difficilissimo, perché quando vinci c’è sempre qualcosa che ti porta a mollare, i contratti, qualcuno che vuole fare la star... E invece in quegli anni alla Juventus non è stato mai sbagliato niente. Abbiamo avuto le nostre problematiche, ci mancherebbe, ma poi l’obiettivo di vincere prevale sempre su tutto e tutti".

Ultima, fuori tema: ti piace Sinner?

"Che domanda! Ha una mentalità straordinaria e un gruppo di lavoro che ha azzeccato tutte le scelte seguendo un percorso studiato e intelligente. Lui è al centro con il suo talento, intorno ha persone eccezionali che con lui non hanno sbagliato mezza mossa. E lo vedi dalla finale: passare da due set a zero con due palle break contro a vincere la finale è una brutale dimostrazione di forza mentale. Ci farà gioire tanto questo ragazzo. Anche questa cosa di Sanremo mi è piaciuta: lui pensa al lavoro e basta. Non che Sanremo possa essere una distrazione che ti comprometta chissà cosa, ma lui ha bene in testa gli obiettivi della sua carriera e che ci si arriva con il lavoro. E poi, diciamocelo, perché uno sportivo deve andare a Sanremo? Per prendere due applausi? Ma lui ha svegliato l’Italia alle cinque del mattino per la sua semifinale, non credo ne abbia bisogno".

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"È stato uno dei momenti più difficili della mia carriera, che allora stava avvicinandosi alla fine. Sentivo la stanchezza e un po’ di mancanza di lucidità. In quel momento ho sentito il mondo crollarmi addosso, il pensiero che mi torturava era: stiamo perdendo lo scudetto per un mio errore. Poi quella partita finì in modo folle. E di quell’errore non si parla più, a parte adesso che me l’avete ricordato, grazie! (ride)".

Ci spieghi com’è la settimana di Inter-Juventus?

"È una settimana carica, magari tranquilla sul fronte degli allenamenti, ma il clima... Beh, c’è il fuoco! È una partita molto sentita, per i club, per i tifosi e in questo frangente anche per la classifica. L’impatto che può avere questa partita sul campionato è forte, quindi sarà una settimana particolare e intensa. E un giocatore non riesce a non pensarci del tutto. Qualsiasi dettaglio ti riporta all’importanza della partita, fosse anche solo un amico che ti chiede un biglietto".

Su cosa bisogna focalizzarsi dal punto di vista psicologico per evitare errori?

"Gestire l’effetto San Siro. E vale soprattutto per la Juventus. L’impatto dello stadio su questa partita è micidiale, perché in una partita del genere la spinta del pubblico, soprattutto all’inizio, è forte. Quindi, pronti via, la botta degli ottantamila può essere un fattore: deve essere brava tutta la squadra a non subirla, a reggere l’urto, mantenendo la concentrazione alta, facendo vedere all’Inter che rispondi colpo su colpo. Poi lo stadio ti si spegne un po’ nella testa via via che la partita va avanti".

Ma quindi l’impatto di San Siro, lo senti sempre, anche se hai trent’anni e sei un giocatore navigato?

"In una partita del genere, gli ottantamila di San Siro, nonostante ci saranno molti juventini mischiati, sono tanti. L’impatto è potente, perché lo stadio è enorme, è storico, perché dove guardi vedi una muraglia di gente e capisci il peso e l’importanza della partita".

Come ti prepareresti a una partita del genere? Tipo: come studieresti la marcatura a Lautaro che potrebbe toccare a Bremer?

"La tecnologia ti consente di studiare, attraverso i filmati, i movimenti dell’attaccante. E dettagli importanti come chi lo fornisce di solito, dove gli piace più tagliare. Puoi studiare a fondo il tuo avversario per prevederne le mosse e leggerne i movimenti, ma non puoi ridurre tutto a un solo giocatore, anche se è Lautaro, perché poi in campo è tutta un’altra cosa. Cioè lo studio è importante, ma nella partita succedono talmente tante cose...".

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