Nel Mondiale meno sorprendente degli ultimi quarant’anni, in cui tutto è apparecchiato per dei quarti di finale interstellari, in cui in testa alla classifica marcatori ci sono los de siempre (Mbappé, Messi, Morata, Giroud, e ora si sono svegliati Kane, Neymar, Vinicius...), per emergere devi essere proprio forte. Per esempio, Josko Gvardiol: Croazia, classe 2002, difensore centrale del RB Lipsia, 390 minuti di Qatar senz’ancora fallire un solo istante. Nei due gol subiti dalla Croazia contro Canada e Giappone, Gvardiol non ha colpe, e nella mezz’ora di follia contro il Belgio che ha consentito a Lukaku di divorarsi almeno tre gol clamorosi è stato l’ultimo baluardo in un reparto anche un po’ terrorizzato dall’improvviso switch impresso alla partita da Romelu, che comunque a calciare a tre passi da Livakovic c’era arrivato, e ci sarebbe arrivato una volta in più senza un altro provvidenziale salvataggio di Gvardiol, allungando il gambone e soffiandogli la palla da sotto il naso mentre stava già caricando il tiro. Nei supplementari di lunedì pomeriggio i suoi erano sulle gambe, anche per colpa dei cambi un po’ troppo radicali di Dalic, ma i giapponesi non sono nemmeno riusciti a entrare in area, ridotti a più miti consigli dalla sua presenza scenica. La barba da spartano gli incornicia il mento e si fonde con il nero della mascherina protettiva, che indossa da quando si è rotto il setto nasale in Lipsia-Friburgo del 9 novembre e gli dà un’età indefinita, tanto da essere facilmente scambiato per trentenne al cospetto della sicurezza palla al piede e alla regolare puntualità dei suoi interventi di testa e di sinistro, in anticipo alto e basso, con un senso della posizione miracoloso per uno della sua età.
Il suo futuro: a Stamford Bridge?
È possibile a vent’anni non sbagliare mai? Ci siamo innamorati di lui in silenzio, come di qualcuno che non alza mai la voce e non ha bisogno di mostrarsi spettacolare o chiassoso per farsi notare: in un covo di vipere e vecchi lupi come sa essere uno spogliatoio croato, poi, l’immagine è zero e la sostanza è tutto. Il cognome autorizza facili giochi di parole con uno dei pochi manager che potrebbe permetterselo, a gennaio o in estate: ad agosto il RB Lipsia ha già rifiutato una mostruosa offerta da 90 milioni di sterline del Chelsea, ma è questione di mesi visti anche gli ottimi rapporti tra il club londinese e la Red Bull, che gli ha già promesso Nkunku. Modric e Kovacic gli stanno tirando la giacchetta da tempo, suggerendogli di vestire il bianco e il blu, anche se l’unico colore che gli passa per la testa in queste ore è il giallo Seleçao, che venerdì pomeriggio minaccia di sforacchiare da tutti gli angoli un quartetto solido ma non solidissimo, che a tratti ha scricchiolato, a destra con Juranovic o nel secondo centrale Lovren. Così arriveranno e lui sarà lì ad aspettarli, perché questo è il mestiere del difensore. Sembra possedere un’attitudine alla calma e alla concentrazione innata, quasi ancestrale. Come un anno fa a Bruges, in Champions League, quando mentre il RB Lipsia stava festeggiando un gol qualcuno gli lanciò addosso un bicchiere di birra che lui provò a spazzare di testa: «Avevo bevuto un caffè poco prima della partita ed ero un po’ su di giri, quindi pensai di proteggere i miei compagni in quel modo». E se a vent’anni Josko “Pep” Gvardiol reggerà l’urto del Brasile in un quarto di finale Mondiale, con questi chiari di luna, c’è caso che qualcuno già a gennaio apra il libretto degli assegni e sganci il centone.