Non importa se domani, nell’esordio mondiale contro il Ghana, segnerà, e magari anche più di un gol. L’eterno inseguimento ai record che rappresenta la cifra stilistica di Cristiano Ronaldo assume una connotazione sterile nel momento in cui il numero - crudo, freddo, per quanto insindacabile - non ha un significato particolare all’interno di un contesto più ampio. E questo contesto più ampio si è via via dissolto fino a trasformarsi nell’asettico comunicato con cui il Manchester United ha annunciato il divorzio dal portoghese. Perché il ringraziamento per l’«immenso contributo» non può che riferirsi alla prima scintillante esperienza con i Red Devils, durata dal 2003 al 2009 e che ha prodotto una Champions League, un Mondiale per club, tre Premier consecutive, una Coppa d’Inghilterra e due Coppe di Lega nonché il suo primo Pallone d’Oro. Nella passata stagione, per dire, lo United è arrivato sesto in campionato e non ha superato gli ottavi di finale di Champions, il terzo turno di Coppa di Lega e il quarto di FA Cup. Ciò che è peggio, Ronaldo non ha saputo fare breccia nel cuore dei tifosi né legare con i compagni, che l’hanno isolato o dai quali si è isolato, fino alla rottura con la società a causa della sospensione per tre giorni dovuta al rifiuto di entrare in campo nel finale della partita con il Tottenham. Ronaldo l’ha vissuta come una umiliazione: questo voleva essere. Lo United ha scelto Erik ten Haag e la conseguenza inevitabile non poteva che essere la rescissione del contratto. E così Cristiano conquista un altro record: quello di essere il primo grande calciatore a disputare un Mondiale da disoccupato. Troverà in fretta una squadra, assicura, ma intanto anche in estate è stato offerto a destra e manca senza fortuna. «Ho sognato di vincere il Mondiale», ha confessato qualche giorno fa. È una possibilità, forse remota. Di sicuro, per adesso, c’è soltanto un tramonto malinconico come quello raccontato da Soriano: triste, solitario y final.