L’Italia abdica tra le incertezze: gli azzurri devono ritrovare l’identità

In mezzo alle lotte politiche, il ct deve portare la Nazionale al Mondiale 2026. Non sarà semplice
L’Italia abdica tra le incertezze: gli azzurri devono ritrovare l’identità© LAPRESSE

TORINO - Finita. Quello sfavillante sudario che copriva le nostre piaghe è stato strappato via anche dall’albo d’oro. I campioni d’Europa non sono più azzurri. Poi, se non ci si vuol nascondere dietro la finzione, formalmente (ma neppure moralmente; cioè dentro la loro anima) non lo erano più da tempo. Sicuramente da quella umida notte palermitana di fine marzo in cui la Macedonia riportò a galla i peggiori incubi e costrinse i campioni d’Europa in carica (l’azzurro, solo pochi mesi dopo, era sempre lo stesso: son balle, i simboli) a saltare il secondo Mondiale di fila e a riscoprirsi deboli, fragili, indistinti. E soprattutto - e soprattutto sempre più spesso: come ora - a chiedersi se quella storia di Wembley sia stata davvero soltanto una clamorosa casualità, un’oasi di abbeverante e illusorio trionfo in mezzo al deserto di un inesorabile declino.

Italia: manca un messaggio concreto

Perché poi qualche simbologia deve pur valere (non la retorica e i passatismi, però) se ancora una volta è stata la Svizzera a precipitarci nel vortice della indefinitezza: prima innescando la valanga che ci avrebbe esclusi dal Qatar, poi togliendoci concretamente lo scettro di campioni in carica. E per di più a Berlino, in uno dei luoghi simbolo della mitologia azzurra. Ecco, se fosse servito un messaggio - uno di più, perché noi si ha la testa dura, imbottiti come siamo di tanta storia che è strumentalizzatile a seconda delle necessità narrative del momento - se fosse appunto servito un messaggio concreto per spingerci a guardare dentro al futuro, quello di Berlino non avrebbe potuto essere urlato in maniera più chiara, fragorosa, evidente. Ma ancora una volta ha trovato mura sorde e, per quanto sbrecciate, puntellate in maniera goffa e anacronistica pur di poter ancora combattere al proprio interno battaglie di difesa o di egemonia sulla decadenza.

Spalletti e la missione mondiale

Così, in quello che ricorda l’Impero romano d’occidente di fronte al mondo che cambia, nessuno ha discusso di obbligatorietà delle seconde squadre, di ius soli o ius scholae (lo sapete vero, che uno come Yamal non avrebbe potuto giocare in azzurro in conseguenza delle nostre regole di cittadinanza?) ma si è combattuta una battaglia feroce sui pesi elettorali della Serie A. Perché è da lì, oh sì, che passa il futuro del calcio italiano. Alla fine dei conti tocca a Luciano Spalletti resettare tutto (perché di errori ne ha commessi anche lui) e declinare la sua indubbia e innegabile competenza al servizio di un mestiere strano e mai così arduo: quello di ct dell’Italia. Perché non sta scritto da nessuna parte, nonostante i tre posti in più previsti per l’Europa, che l’Italia si qualifichi facilmente ai prossimi Mondiali. Il tocco magico di Mancini e un’anima come quella di Vialli ci hanno consentito (con dolcezza e soprattutto quasi senza che noi ce se ne sia accorti) di abbracciarci ancora. Ma guai illudersi che quello sia il nostro destino.

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