Leo Junior, un Canarinho al Torino

Il fuoriclasse brasiliano arrivò in granata nel 1984. Nella prima stagione fu premiato come miglior giocatore della Serie A, diventando subito leader dell'undici di Gigi Radice

“Voa Canarinho, voa!”, un motivetto che ha accompagnato la Seleçao nella spedizione mondiale in Spagna nel 1982. Una canzone composta e cantata da Leo Junior. Non un semplice calciatore, non un musicista: un fuoriclasse gentiluomo, umile ed elegante. Cresce come terzino destro nel Flamengo e sulla fascia non corre: fa come il canarino del ritornello, vola. È un autentico trascinatore, si contraddistingue immediatamente per le sue doti di leadership e ben presto diventa il capitano della formazione brasiliana, portandola a vincere la Libertadores e la Coppa Intercontinentale nel 1981. Nonostante non prediliga il mancino, si trasferisce dall'altra parte del campo. Non importa: laterale destro o sinistro è uguale. Leo Junior ha letteralmente due piedi, ha una visione spaventosa: è uno scienziato del gioco.

L’arrivo a Torino e il cambio ruolo

Nel 1984 alcuni dei nomi più importanti del panorama calcistico mondiale arrivano in Italia: a far compagnia ai vari Platini, Falcao, Boniek, Cerezo e Zico, adesso ci sono Maradona, Rummenigge, Socrates e Junior. El Pibe sbarca a Napoli, Kalle sulla sponda nerazzurra del Naviglio, il Dottore a Firenze e Leo all’ombra della Mole, al Torino. Le trattative per l’arrivo del terzino sono estenuanti: non tanto per le richieste economiche, quanto per quelle inaspettate sul ruolo da ricoprire in campo. Leo Junior ha ormai 30 anni e sa che per poter continuare a giocare fino a tarda età non può più correre su e giù per la fascia. Classe, testa e lungimiranza: Junior chiede, e ottiene, di agire da regista davanti alla difesa. Mai scelta fu più azzeccata: il Torino invece di ritrovarsi un terzino di qualità si ritrova un autentico fenomeno, che ricama ogni azione offensiva e che adempie alla perfezione ai compiti difensivi. Insieme a Beppe Dossena crea una coppia di centrocampo perfetta: elegante e fisica, concreta e tecnica. Sono i polmoni della squadra allenata da Gigi Radice. Il Torino non sarebbe una squadra da titolo, eppure in campionato vola trascinata dal brasiliano. Leo Junior è il tuttofare: calcia i rigori, le punizioni, gli angoli, inventa assist, segna, attacca e difende. I granata non hanno la rosa della Juventus, della Roma, dell’Inter o della Fiorentina, eppure tutti gli squadroni restano dietro. Per lo scudetto è un testa a testa emozionante con l’Hellas Verona, ma alla fine trionfa la squadra di Osvaldo Bagnoli: Leo si consola con il premio di miglior giocatore del campionato 1984-85. Per tutti i tifosi del Toro è “Papà Junior” per via della sua età non più giovanissima, di quel caratteristico baffo che lo invecchia un po’ di più e, soprattutto, perché quando c’è da trascinare la squadra, ci pensa lui. Resta in granata altre due stagioni, poi il rapporto con Radice si incrina e passa al Pescara prima di tornare al Flamengo. La sua avventura al Torino, in realtà, non finisce: torna nel 1991 e aggiunge al palmarès una Mitropa Cup.

Mundial 1982: missione incompiuta

La Seleçao di Telê Santana è considerata tuttora una delle squadre più forti di sempre. Eppure rimane una delle grandi incompiute, al pari dell’Olanda di Cruijff e dell’Ungheria di Puskas. In Brasile erano convinti che la Coppa del Mondo, la quarta, sarebbe tornata a casa. Il problema era uno solo: atterrare a Rio de Janeiro o a San Paolo? Santana chiama tutti i campioni che ha a disposizione: Leo Junior gioca a sinistra, ma in realtà fa il jolly. Cerezo davanti alla difesa, Falcao in mezzo al campo e i due registi Socrates e Zico inventano per Eder. La Seleçao scherza con tutte le avversarie. Nel girone della rassegna iridata ne segna due all’URSS, quattro alla Scozia e altrettanti alla Nuova Zelanda. I verdeoro non sono favoriti, sono strafavoriti. Il Brasile scende in campo a modo suo: gioca il calcio bailado. Fase difensiva poca, tanto fanno sempre un gol in più degli avversari. Anche l’Argentina di Maradona viene rispedita a casa: Zico, Serginho e Leo Junior piegano l’Albiceleste e per passare alle semifinali basta un pareggio contro l’Italia. È il 5 luglio 1982, il giorno in cui Paolo Rossi si risveglia dal letargo: il centravanti della Juventus taglia sul lato di Leo Junior, brucia il jolly verdeoro, colpisce di testa e apre le danze. Socrates riporta gli azzurri coi piedi per terra sull'ennesima invenzione di Zico. L’Italia sogna ancora con Pablito, che sfrutta il pessimo passaggio di Cerezo e l’indecisione di Leo Junior. Falcao, però, a venti minuti dal termine esplode un sinistro imprendibile e il Brasile torna a mettere un piede in semifinale. Il 2-2 basterebbe alla Seleçao, ma la squadra di Telê Santana non si accontenta: vuole continuare a dare spettacolo, segnare ancora. Questa leggerezza costa caro al Brasile, che attacca e assedia l’area di Zoff, ma torna sotto nel punteggio. Paolo Rossi è nel punto giusto al momento giusto: Leo Junior lo tiene in gioco e l’attaccante segna il 3-2. Gli azzurri resistono e Zoff inchioda sulla linea l'ultimo tentativo verdeoro. L’Italia si avvia verso il terzo titolo iridato, la Seleçao di Telê Santana torna a casa e passa alla storia come una delle squadre più forti a non aver mai vinto un Mondiale.

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