A Pelotas, sulle sponde meridionali del Lagoa dos Patos, nello stato federato brasiliano del Rio Grande do Sul, il 4 aprile del 1976 nasce quello che diventerà uno dei centrocampisti più duttili e completi del calcio moderno: Emerson Ferreira da Rosa. Come la grandissima maggioranza dei bambini brasiliani, soprattutto nello Stato gaucho, cresce mangiando pane e calcio, e ad appena sedici anni si sposta dall’altra parte della laguna per rispondere a una di quelle chiamate a cui è davvero impossibile dire di no. Lo vuole il Gremio, storico club di Porto Alegre con il quale, dopo una breve parentesi tra le giovanili, farà il suo esordio da professionista nel calcio dei “grandi”. Qui mette subito in mostra le sue doti, Emerson è un tuttocampista, fondamentale nella fase di interdizione come in quella di costruzione, dotato di un buon passo e di un tiro molto potente. Con il club brasiliano vince due Coppe del Brasile, due Campionati Gaucho e un Brasileirão collezionando 74 presenze e 8 reti. Come capita a tutti i grandi giocatori sudamericani, il campionato di casa comincia a stargli stretto, così ad appena 21 anni vola in Germania per vestire la maglia del Bayer Leverkusen. Con la Werkself si consacra nel calcio che conta, oltre alle presenze in Bundesliga colleziona 9 gettoni conditi da 4 reti in Champions League, misurandosi con i migliori calciatori del pianeta. Insieme al suo exploit in Europa arriva anche la chiamata dalla nazionale maggiore brasiliana con la quale perderà in finale il Campionato del Mondo del 1998.
A ROMA - Dopo tre stagioni in Germania viene acquistato da Sensi in quella celebre estate del 2000 che portò sulla sponda giallorossa del Tevere altri campioni sudamericani come Gabriel Omar Batistuta e Walter Samuel. Appena arrivato è vittima di un brutto infortunio al ginocchio che lo terrà lontano dal campo fino a gennaio, ma si dimostra comunque tra i protagonisti del terzo storico scudetto giallorosso con 13 presenze e 3 gol. A Roma diventa un vero pupillo della tifoseria, si guadagna il soprannome di “Puma” e incontra l’allenatore con cui formerà un sodalizio che durerà quasi un decennio: Fabio Capello.
ANCORA ALLA CORTE DI DON FABIO - Quando il tecnico di Pieris nell’estate del 2004 approda sulla panchina della Juventus, Emerson decide di seguirlo compromettendo però il rapporto con i suoi ex tifosi. Nelle due stagioni passate in bianconero gioca praticamente sempre, è il vero e proprio pupillo dell’allenatore friulano, che fa di lui il perno del centrocampo juventino. Qui raggiunge la piena maturità, segna meno, ma la sua sostanza unita a una grandissima qualità nello smistare la palla lo rende uno dei centrocampisti migliori d’Europa, e quindi del mondo. Vince entrambi i campionati ma, dopo lo scandalo di Calciopoli, uno viene revocato e un altro assegnato all’Inter. A carriera finita dirà dei suoi anni a Torino: «La Juventus è una società solida, incredibilmente forte con un dna preciso: lì impari a capire, sin dal primo giorno, il significato della parola vittoria, rinnovando ad ogni allenamento la fame e la voglia di non mollare mai».
IN SPAGNA - Nel 2006, dopo la tempesta che colpisce il calcio italiano, Fabio Capello finisce sulla panchina dei Blancos a Madrid e, neanche a dirlo, porta con sé il suo allievo prediletto. Nonostante un inizio claudicante, il brasiliano riesce a vincere anche la Liga, conquistando de facto il terzo titolo di fila. Nel frattempo dice addio alla Seleçao, con cui non è mai stato troppo fortunato: rimpiangerà sempre il Campionato del Mondo di Corea e Giappone, competizione che lo avrebbe visto protagonista con la fascia al braccio, ma che salta per un infortunio alla spalla figlio di un incauto intervento mentre si cimenta tra i pali in allenamento. Dopo il Real Madrid passa al Milan per poi fare ritorno in patria al Santos, ma nessuna delle due avventure va alla grande: il Puma, affaticato da tanti anni di battaglie e vittorie, è stanco e spossato. Nel 2009, a 33 anni, si rende conto di non essere più il giocatore di un tempo e sceglie di appendere gli scarpini al chiodo, dopo aver regalato agli annali del football una carriera da vero campione.