Nel febbraio del 1956 un’ondata di gelo colpisce gran parte dell’Europa: le temperature si abbassano improvvisamente e la neve imbianca tutto, da Palermo fino a Edimburgo. Alla vigilia della festa degli innamorati, nella casa della famiglia Brady di Dublino, nasce Liam. Non può far altro che uscire tra i verdi prati irlandesi e ammirare i suoi fratelli giocare a calcio. Pat, Ray, Frank Jr. e lo zio Frank Sr., tutti con il football nel DNA.
OLTREMANICA. Cresce nella scuola dell’Arsenal e a 17 anni fa il suo debutto tra i professionisti: il suo sinistro incanta, ricama le azioni e verticalizza millimetricamente. Più che lanci di precisione i suoi sembrano approcci sui green del golf, con la palla che si ferma appena tocca terra. L’effetto che imprime con il mancino è impressionante, mette la palla dove vuole. In sette stagioni con i Gunners diventa uno dei migliori registi d’Europa, riconoscibile dal movimento non eccessivamente rapido, ma sempre sinuoso ed elegante. Vince un solo titolo, l’FA Cup del 1979, ma è sempre tra i protagonisti del campionato inglese, tanto da vincere l’MVP della Lega nello stesso anno. La stagione successiva raggiunge la finale di Coppa delle Coppe, mettendo a soqquadro la difesa della Juventus nella semifinale di ritorno al Comunale di Torino.
STELLA BIANCONERA. In Italia i tempi sono maturi per riaprire le frontiere, a 14 anni di distanza dal gol di Pak Doo Ik, che ha condannato la Nazionale all’inferno di vergogna chiamato Corea ai Mondiali inglesi del 1966. Ed è proprio dal suolo della Regina che Giampiero Boniperti e Giovanni Trapattoni decidono di attingere per rinforzare la squadra bianconera. Ovviamente la scelta ricade sul numero 10 dell’Arsenal, che ha incantato anche l’Avvocato Agnelli in quella semifinale di Coppa delle Coppe. Il presidente dei Gunners fa di tutto per tenerlo, ma Brady si trasferisce in Italia, all’ombra della Mole Antonelliana. Lo scetticismo dei primi giorni, in cui sono in molti a credere che uno abituato al calcio britannico non riesca ad ambientarsi al calcio nostrano, viene spazzato via. Liam Brady non è inglese, è irlandese: è ben diverso. Impara in fretta l’italiano, è attratto dal Belpaese e in particolare dalla città di Torino. È elegante, tanto in campo quanto fuori dal rettangolo verde. Un vero gentleman, che si pone sempre nella maniera più formale ed educata. Nella prima stagione in bianconero è già determinante: con una sontuosa prestazione segna contro i campioni in carica dell’Inter e sforna l’assist per il gol di Scirea. La Juventus mette nel mirino la Roma e il non gol di Turone decide le sorti dello scudetto, il diciannovesimo della storia bianconera. Brady è il capocannoniere della squadra con otto gol e l’anno successivo è sempre il punto cardine, il numero 10 di una squadra fortissima. A lottare per il Tricolore non c’è la Roma, c’è la Fiorentina, guidata dall’ex giallorosso Picchio De Sisti. È un testa a testa emozionante, fino all’ultima giornata, in programma il 16 maggio 1982. Prima di scendere in campo per i 90 minuti decisivi, bisogna fare un passo indietro, al 30 aprile. Stanno per chiudersi le porte del calciomercato e Michel Platini firma con la Juve: l’Avvocato Agnelli vuole ad ogni costo il francese e lo compra “per un tozzo di pane”. Prima di metterci sopra il famoso caviale, la società deve rinunciare a uno degli altri due stranieri: Boniek o Brady. La scelta ricade sull’irlandese, il quale una volta avvisato scoppia in un pianto di frustrazione e delusione. I compagni di squadra sono sconvolti tanto quanto lui, non sarà facile fare a meno di Liam all’interno dello spogliatoio. Intanto, però, c’è da vincere uno Scudetto.
VITTORIA E ADDIO. Il 16 maggio la Juve affronta il Catanzaro già salvo e la Fiorentina il Cagliari, che lotta per non retrocedere. Entrambe le squadre sono a 44 punti e con il passare dei minuti è ancora tutto in parità. Tutto il calcio minuto per minuto si palleggia i due campi tra le voci di Enrico Ameri e Sandro Ciotti: un gol annullato alla Fiorentina e, a 15’ dalla fine del campionato, il rigore per la Juventus. La tensione è alle stelle, l’Italia trattiene il fiato e il pallone pesa come un macigno. S’incarica della battuta colui che è di troppo, l’irlandese con la 10 sulle spalle. Ha due opzioni: fare il bambino e sbagliare volutamente per ripicca allo sgarro della dirigenza o comportarsi da professionista. Prende la rincorsa, sempre elegantemente. Apre il piatto sinistro, con dolcezza ed educazione. Palla da una parte, portiere dall’altra. L’ultima perla di Liam Brady regala la seconda stella da ricamare sul petto della maglia bianconera. Tra la gioia per la vittoria e la tristezza per l’esclusione dai piani societari. Un saluto da vero gentleman, che lascia la 10 a Le Roi.