Romario, il piccolo grande bomber

Nel 1994 vinse la Liga nel Barcellona di Cruijff e il Mondiale da protagonista con il Brasile

«Ho segnato contro ogni squadra, ogni nazione, ogni difensore al mondo». Si auto-accredita oltre mille gol Romario, anche se la FIFA gliene assegna “solo” 929. «Non si muove molto, ma in area è il re» spiega Carlos Alberto Parreira, il ct del Brasile che sta preparando il Mondiale del 1994. A quel re si affida un'intera nazione ancor più bisognosa di eroi dopo la morte di Ayrton Senna. Parreira disegna una squadra che si muove secondo il più brasiliano dei moduli, il 4-2-2-2, e due princìpi, “possesso e Romario. Non era una squadra difensiva”, scrive Paulo Vinicius Coelho di ESPN Brazil, “aveva una difesa forte ma sapeva anche controllare il gioco. Poi, non appena trovavano uno spazio, Romario segnava”.

30 GOL A BARCELLONA. Un anno prima, dopo 165 gol in 167 partite al PSV Eindhoven, Romario è passato al Barcellona. Johann Cruijff, che sta cambiando la filosofia della squadra e la sta portando nella direzione poi seguita da Pep Guardiola, vuole una squadra di giocatori piccoli, scattanti ed estremamente tecnici. O'Baixinho, il “piccoletto” per eccellenza, è l'uomo giusto al posto giusto: segna 30 gol in 33 partite di campionato. «Romario» - dirà l'olandese profeta del gol prima e della panchina poi, «è il miglior giocatore che abbia mai allenato». All'epoca una squadra poteva schierare solo tre stranieri, e a Barcellona c'erano già Laudrup, Koeman e Stoichkov. “Eravamo come la notte e il giorno” scrive il bulgaro nella sua autobiografia, “ma diventammo inseparabili”. Il suo primo Clasico contro il Real Madrid è un testamento. Completa una tripletta nel 5-0 che fonda il mito del Dream Team blaugrana, umilia Alkorta con un dribbling iconico, elettrico, naturale, totale, da allora conosciuto come cola de vaca, coda di mucca, per sempre associato a Baixinho e alla distruzione del Real. È una stagione come poche se ne ricordano. discussioni, scandali, paparazzi, un pugno a Simeone, la finale di Champions League persa 4-0 ad Atene contro lo scintillante Milan di Capello, il rapimento del padre, Edevair Souza de Faria, a maggio del 1994. I rapitori chiedono un riscatto di 7 milioni di dollari. Romario però è amato anche nei bassifondi di Rio de Janeiro e la storia si chiude nel giro di pochi giorni.

ROMARIO E BEBETO. La polizia lo trova in un appartamento, su un materasso. Nella stanza c'è anche un televisore, l'aveva chiesto per guardare il figlio impegnato nel ritorno del Clasico contro il Real. Il Barcellona vince 1-0 ma non sono le merengues i grandi rivali per il titolo. È il Deportivo La Coruna che all'ultimo minuto dell'ultima giornata della Liga ha la più grande chance per vincere il campionato: fallo su Nando, rigore. Il primo titolo nella storia del Depor dipende da Djukic che, terrorizzato, lo tira malissimo. Il Valencia salva lo 0-0, il Barcellona batte il Siviglia 5-2 e conquista la Liga. Il rigore al Riazor avrebbe dovuto tirarlo Bebeto, il partner d'attacco di Romario in nazionale. In campo, in America, non li fermerà praticamente nessuno. Ma vista la contrapposizione lunga tutta la stagione in Spagna, Romario non lo vuole vicino sull'aereo che porta la nazionale negli Stati Uniti. «Noi attaccanti dobbiamo essere egoisti» dice Baixinho, che fa in tempo a dare del “ritardato” a Pelè prima ancora che il Mondiale cominci.

IL MONDIALE. In campo non lo prendono mai. “Ha i piedi sensibili e morbidi come gli orologi di Dalì” scrive Manuel Vazquez Montalban, come riporta Simon Talbot su Four Four Two, “ispira un sentimento quasi religioso”. Segna in cinque partite su sei fino alla finale. Manca il gol solo contro gli Usa, ma consegna l'assist decisivo proprio a Bebeto. Segna cinque gol, tre nelle partite del girone, uno all'Olanda nei quarti, da predone dell'area, e firma la rete della vittoria in semifinale contro la Svezia, tra l'altro di testa.
Ha due grandi passioni, il calcio e le donne: Ronaldo dirà che deve a lui la sua intensa attività sessuale notturna durante la Coppa America del 1997. Prima della finale di Pasadena, confessa di aver fatto sesso. La moglie Monica impiega pochissimo a chiedere il divorzio: evidentemente con lui, quella sera, non c'era lei. Fa le cose a modo suo, in campo e fuori. Conosce le donne e tradisce la moglie, come il Pablo della canzone di De Gregori. Ma non c'entrano il vino o la Svizzera verde.
In finale sbaglia un gol non da lui nel secondo tempo supplementare. Ma non ha paura di tirare il secondo rigore della serie che decide il Mondiale. «Ero un po' teso, non ne avevo mai battuto uno prima di allora in nazionale». Non si è nemmeno mai allenato sui rigori, ma segna. Sarà il destino, sarà lo spirito di Senna, come andrà a finire lo sappiamo. Dopo 24 anni, il Brasile è di nuovo campione del mondo. Di nuovo, contro l'Italia in finale come a Città del Messico nel 1970. «Ricevere la coppa del mondo da Dunga e alzarla al cielo è il momento di cui sono più fiero in tutta la mia carriera» ha detto. Non giocherà un altro minuto in Coppa del Mondo.

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