È il giocatore record della Svizzera con 128 presenze in Nazionale. Il capitano in tutti i sensi, non solo per la fascia che porta al braccio. Il leader carismatico. Il numero 10. Il “capo” dello spogliatoio. Centrocampista di grande fisicità (186 centimetri per 82 chili) dotato di nerbo e carattere (di nome fa Granit, ovvero granito) oltreché di qualità: nel corso dell’ultima stagione ha trascinato il Bayer Leverkusen alla guida di uno storico titolo di Bundesliga (infranta l’egemonia del Bayern che durava da 11 anni) nonché alla conquista della cosiddetta “DBF-Pokal” (Coppa di Germania) liquidando un mese fa il Kaiserslautern 1-0 all’Olympiastadion di Berlino grazie proprio al suo gol vincente nel primo tempo. Non gli è riuscito invece il “triplete”, cioè l’affermazione anche in Europa League, perché nella finale di Dublino s’è dovuto inchinare a una prorompente Atalanta.
«Scrivere la storia»
Ma Granit Xhaka, eletto “Player of the Match” dopo Germania-Svizzera, sta già covando la sua rivincita sugli italiani. Vuole batterli sabato nella capitale tedesca, primo ottavo di Euro 2024, per andare avanti nella competizione. «Sì, qui in Germania io sono di casa. Tutti i tedeschi hanno tifato per il Bayer Leverkusen, eccetto quelli bavaresi ovvio... Essere il capitano della Nazionale svizzera è un motivo di grande orgoglio. La squadra sogna di scrivere di nuovo la storia, stiamo lavorando duramente per raggiungere gli obiettivi. La nostra qualità è di altissimo livello, in tanti hanno vinto trofei e giocato in Champions League. C’è grande concorrenza in tutti i ruoli: questo ci rende più forti, c’è un sano spirito di competizione che ci sprona a migliorarci sempre».
Quelle due assenze...
Curiosamente il 31enne capitano elvetico, nato a Basilea da immigrati albanesi del Kosovo, non ha preso parte alla famosa doppia sfida Italia-Svizzera delle qualificazioni mondiali nell’autunno 2021. Quella del duplice pareggio e dei due rigori clamorosamente falliti da Jorginho. Il motivo è presto spiegato: per la gara d’andata di settembre nella sua Basilea (0-0) era positivo al Covid mentre nel ritorno di novembre a Roma (1-1) era assente a causa di un infortunio.
I "gialli" di troppo
Granit è un “tuttocampista” di estrema duttilità e versatilità. Può giocare mezzala, mediano di contenimento, regista basso, trequartista e alla bisogna persino in difesa. È abile nelle verticalizzazioni, nel tackle, nel recupero palla e nel tiro dalla distanza. Temibile anche sui calci piazzati. Con il suo sinistro è capace d’imprimere al pallone traiettorie secche e al contempo cariche d’effetto. Un difetto? Talora la sua irruenza e la sua impulsività gli costano il cartellino giallo, ma è migliorato con gli anni, soprattutto ora che è in Bundesliga. «Oltre che il ct, devo ringraziare il mio allenatore di club Xabi Alonso che mi ha insegnato molte cose», spiega.
Gli screzi (superati) e le cene col ct
Uomo di polso, ha anche avuto delle frizioni con il selezionatore Yakin. È successo circa un anno fa. Problemi che sembrano ormai definitivamente risolti: «Io e il mister non siamo mai andati così d’accordo come negli ultimi mesi – ha assicurato il capitano – . Tra noi non c’è problema. Ultimamente ci siamo incontrati spesso a Düsseldorf, dove vivo, una ventina di minuti da Leverkusen. Abbiamo cenato in grandi ristoranti, mangiato benissimo e bevuto ottimo vino... ». Pare che in quelle serate i due abbiano discusso amabilmente di tattica. Un anno fa la Svizzera giocava a quattro. Nel 2024 gli elvetici sono passati a tre. Si sussurra pure su “consiglio” di Granit, che con quel sistema ha giocato e vinto nel Bayer...
Lui con la Svizzera, il fratello con l'Albania
A 5 anni entra nel settore giovanile del Concordia Basilea. Cinque anni dopo si unisce a quello del famoso FC Basilea 1893. Sempre al fianco di suo fratello maggiore Taulant, centrocampista difensivo tuttora in forza al Basilea che però, dopo la trafila nelle Nazionali giovanili svizzere fino all’Under 21, ha cambiato selezione collezionando 31 presenze con l’Albania dal 2014 al 2019. Durante l’Europeo 2016 ci fu un vero derby di famiglia. La mamma di Taulant e Granit si presentò sugli spalti dello stadio Félix-Bollaert di Lens indossando una maglietta con impressa metà bandiera della Svizzera e metà dell’Albania. Per la cronaca s’imposero 1-0 gli elvetici in virtù di una rete-lampo firmata dal difensore Schär.
Oro al Mondiale U.17
Granit, che ha sempre vestito la maglia rossocrociata, nel novembre 2009 conquistò in Nigeria un successo storico per il calcio elvetico: la Coppa del Mondo Under 17. Il suo debutto nella Nazionale maggiore (ct il tedesco Ottmar Hitzfeld) due anni dopo, diciannovenne, a Wembley contro l’Inghilterra. Dalla sua seconda stagione al Basilea (2011-’12) era già titolare inamovibile. Nell’estate 2012 il passaggio al Borussia Mönchengladbach per 8,5 milioni di euro. Quattro anni più tardi l’Arsenal lo acquista per più del quintuplo: 45 milioni. La scorsa estate, dopo 6 anni con i “Gunners”, si trasferisce a Leverkusen per 15 milioni. Contratto quinquennale (fino al 30 giugno 2028) per uno stipendio netto di 5 milioni a stagione, circa 1 milione e 100 mila euro meno rispetto a quanto percepito in Premier League.
Il passato travagliato del papà
Granit è nato a Basilea il 27 settembre 1992 da una famiglia albanese originaria di Podujevë, città del Kosovo. Ragip ed Elmaze, i suoi genitori, hanno lasciato il loro Paese nel 1991 ai tempi della guerra per cominciare una nuova vita in Svizzera. Papà Ragip fu arrestato nel 1986 all’età di 22 anni da studente dell’Università di Pristina (Kosovo, all’epoca provincia autonoma della Jugoslavia) e condannato a 6 anni di carcere per aver preso parte a una manifestazione contro il governo centrale comunista.
Un futuro da allenatore
Il leader della Svizzera sta già studiando da allenatore. Ha ottenuto la licenza Uefa A che in futuro gli permetterà di allenare ai massimi livelli. Al riguardo ha dichiarato: «Mi sembra di poter “leggere” un calciatore in modo diverso. E io sono pure migliorato come giocatore». Del resto il suo commissario tecnico lo definisce già un «player-manager».