La maglia dell’Italia disonorata, il sistema che litiga e le due fake news

Andare a casa contro la Svizzera, senza mai essere entrati in partita, è il dito che indica la luna (nera) del nostro calcio

Ieri a Berlino è stata disonorata la maglia della Nazionale quattro volte campione del Mondo e due volte d’Europa. Non perché perdere con la Svizzera sia disonorevole in sé (si sono dimostrati più forti di noi); sono il modo e le circostanze a rendere tutto indecoroso. Che l’Italia di Spalletti fosse una squadra con limiti tecnici e senza grandissimi fuoriclasse a metterci una pezza lo sapevamo fin dall’inizio, era tuttavia doveroso che gli azzurri giocassero meno svogliati, più concentrati e con maggiore amor proprio e della maglia che indossavano. Perdere non deve mai essere una colpa, fa parte dello sport, tuttavia comporta delle responsabilità se la sconfitta è il frutto della sciatteria agonistica di ieri pomeriggio. Perché la bruttissima sensazione è che, ieri, nessuno dei nostri fosse sceso in campo con la giusta consapevolezza dell’impegno richiesto quando si rappresenta la Nazionale, tranne forse qualche sporadica eccezione tipo il capitano Donnarumma. Le modalità e il contesto nel quale è maturata l’eliminazione la rendono, quindi, più odiosa, trovandole una collocazione nella top ten delle disfatte nazionali.

La situazione

Ma non è questo il punto. Andare a casa contro la Svizzera, senza mai essere entrati in partita, è il dito, che indica la luna (nera) del nostro sistema calcio, incapace di produrre talento e qualità. Un sistema che non è riuscito a mandare la nazionale maggiore agli ultimi due mondiali, che non supera la fase a gironi del mondiale dal 2006, che non si riforma se non a piccoli pezzi e molto lentamente, che si concentra su falsi problemi, che è estremamente litigioso e che troppo spesso si avvita stretto al mantenimento del potere personale invece di progettare il bene del movimento. E il fatto che la politica, e in particolare chi governa, inizi a volteggiare minaccioso sui centri del potere calcistico, a partire dalla Figc, ha una disdicevole componente di sciacallaggio mediatico (oggi prendersela Gravina è rigore a porta vuota), ma nello stesso tempo è anche vero che il sistema calcio italiano ha fatto troppo poco per evitare di trovarsi in queste attaccabili condizioni. Soprattutto ha smesso di produrre talenti e non si è mai chiesto il perché.

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Due fake news

Così oggi inizierà il pippone degli investimenti nei settori giovanili e dei troppi stranieri. Due fake news. I club italiani investono in media 4,6 milioni nei settori giovanili, quelli spagnoli 3,4 e quelli francesi 4,7 (dati Report Uefa). Gli stranieri in Serie A rappresentano il 63,4%, in Ligue 1 il 59,4%, in Premier il 67.5%. Ma quindi, se investiamo nei settori giovanili e abbiamo un numero di stranieri in media con gli altri campionati, perché non produciamo più i Totti, i Del Piero, i Pirlo e i Cannavaro? Perché i nostri talenti vengono inghiottiti da un buco nero che dalla Primavera non riesce più a dare continuità di alto livello ai nostri giovani che si disperdono nella diaspora dei prestiti, che faticano a trovare spazio perché non abbastanza maturi per il salto di qualità in Serie A, ma anche troppo vecchi per continuare a giocare con i pari età. In Europa hanno risolto il problema con le seconde squadre e se venti giocatori su ventisei dalla Spagna sono passati di lì (da Daniel Carvajal, 63 presenze nel Real Castilla, a Cubarsì, 15 presenze nel Barça B), forse bisognerebbe farsi una domanda.
Poi, ovvio, il problema della crisi del talento non si risolve solo con le seconde squadre (sul cui progetto siamo comunque maledettamente in ritardo), perché esiste anche una crisi vocazionale per il calcio in un Paese dove si gioca sempre meno a pallone nei parchi e negli oratori; le scuole calcio costano un accidente e i genitori sono spaventati dall’ambiente tossico di certi settori giovanili. E infine bisogna domandarsi perché nei settori giovanili (dove investiamo più della Spagna e quanto la Francia) continuino a selezionare i giocatori per peso e altezza, non per il talento e continuino a considerare un obiettivo il successo nei tornei di categoria, quando dovrebbe essere chiaro che l’obiettivo è la formazione di giocatori pronti per la prima squadra e, eventualmente, per la nazionale. Appunto.

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Ieri a Berlino è stata disonorata la maglia della Nazionale quattro volte campione del Mondo e due volte d’Europa. Non perché perdere con la Svizzera sia disonorevole in sé (si sono dimostrati più forti di noi); sono il modo e le circostanze a rendere tutto indecoroso. Che l’Italia di Spalletti fosse una squadra con limiti tecnici e senza grandissimi fuoriclasse a metterci una pezza lo sapevamo fin dall’inizio, era tuttavia doveroso che gli azzurri giocassero meno svogliati, più concentrati e con maggiore amor proprio e della maglia che indossavano. Perdere non deve mai essere una colpa, fa parte dello sport, tuttavia comporta delle responsabilità se la sconfitta è il frutto della sciatteria agonistica di ieri pomeriggio. Perché la bruttissima sensazione è che, ieri, nessuno dei nostri fosse sceso in campo con la giusta consapevolezza dell’impegno richiesto quando si rappresenta la Nazionale, tranne forse qualche sporadica eccezione tipo il capitano Donnarumma. Le modalità e il contesto nel quale è maturata l’eliminazione la rendono, quindi, più odiosa, trovandole una collocazione nella top ten delle disfatte nazionali.

La situazione

Ma non è questo il punto. Andare a casa contro la Svizzera, senza mai essere entrati in partita, è il dito, che indica la luna (nera) del nostro sistema calcio, incapace di produrre talento e qualità. Un sistema che non è riuscito a mandare la nazionale maggiore agli ultimi due mondiali, che non supera la fase a gironi del mondiale dal 2006, che non si riforma se non a piccoli pezzi e molto lentamente, che si concentra su falsi problemi, che è estremamente litigioso e che troppo spesso si avvita stretto al mantenimento del potere personale invece di progettare il bene del movimento. E il fatto che la politica, e in particolare chi governa, inizi a volteggiare minaccioso sui centri del potere calcistico, a partire dalla Figc, ha una disdicevole componente di sciacallaggio mediatico (oggi prendersela Gravina è rigore a porta vuota), ma nello stesso tempo è anche vero che il sistema calcio italiano ha fatto troppo poco per evitare di trovarsi in queste attaccabili condizioni. Soprattutto ha smesso di produrre talenti e non si è mai chiesto il perché.

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