Da Chiesa a Thuram, l’Europeo va di padre in figlio

Non sono pochi i rampolli di illustri calciatori in campo in Germania a caccia della consacrazione

Essere il rampollo di un personaggio famoso è sempre difficile, si rischia di passare la vita nella condizione di “figlio di” e non avere mai piena consapevolezza di sé. Nello sport, nel calcio in particolare, sono davvero tante le dinastie, due se non tre generazioni di atleti che fanno la storia: semplicemente come figli o padri di qualcuno o, ancora meglio, in campo. C’è quella italiana dei Maldini come quella islandese dei Gudjohnsen, tanto per citarne due tra le più famose, e a Euro 2024 non ci siamo fatti mancare una formazione di eredi. Guardando in casa nostra non è una novità quella dei Chiesa, da Enrico, il padre, a Federico, il figlio. E qui è meglio fare qualche gesto apotropaico visto come andò Euro ’96 con Sacchi in panchina, anche allora c’era da giocare la partita decisiva dopo una vittoria e una sconfitta, finì 0-0 con la Germania e tutti a casa. Enrico ha vinto una Coppa Uefa, Federico è campione d’Europa in carica, ma dal punto di vista tecnico e realizzativo l’impressione è che sia ancora una spanna sotto il padre.

Euro 2024: tutti i figli d'arte in campo 

Schmeichel, padre e figlio, sono stati in questi giorni al centro di un siparietto da romanzo Cuore, con Peter che ha intervistato Kasper e poi lo ha abbracciato. Si racconta che il primo abbia fatto di tutto per non mettere in soggezione il secondo, visto lo stesso ruolo, soprattutto in Nazionale, dove nel 1992 ha vinto un incredibile Europeo. E quando gli ha chiesto cosa poteva fare per aiutarlo, Kasper gli disse "fai il padre, sei anche più bravo di quando fai il portiere". E Peter lo ha fatto. Tanto che per un periodo ha tolto dal suo profilo Instagram tutti i titoli vinti, scrivendo nella bio “padre di Kasper”. Vita difficile, invece, per Marcus Thuram, figlio di Lilian, ex difensore di Parma - ha vinto la Coppa Uefa del ’99 assieme a Enrico Chiesa - Juventus e Francia, campione del mondo e d’Europa; un Everest sportivo difficile da colmare. Insieme con l’episodio della festa scudetto dell’Inter in cui Marcus saltava durante il coro contro la Juve e Lilian gli ha tirato un affettuoso scappellotto. Senza contare l’attivismo politico e sociale che ha messo il secondo al centro del villaggio globale con un libro icona: “Il pensiero bianco”.

Nelle stesse condizioni è Ianis Hagi, centrocampista offensivo dei Rangers e della Romania, figlio di Gheorghe, il talento più cristallino espresso dal calcio rumeno. E forse il paragone si gioca più su questo che non sul piano inclinato dei trofei vinti e delle maglie vestite, comprese quelle di Real Madrid e Barcellona. A Ianis, però, il carattere non manca perché a chiunque altro sarebbero venute le vertigini al confronto, invece lui, con determinazione, ha scalato la montagna, soprattutto con la maglia della Nazionale. Se la gioca, invece, Daley Blind con il padre Danny, entrambi cresciuti calcisticamente nell’Ajax, che con la maglia dell’Olanda lo ha letteralmente surclassato con le sue 107 presenze, contro le 42 del genitore, anche se nessuno dei due può vantare un trofeo con la Nazionale, mentre ne hanno vinti molti con i rispettivi club: quest’anno Daley è stato uno degli artefici del miracolo Girona.

Per raccontare invece il rapporto tra Francisco Conceicao e il padre Sergio c’è un’immagine dopo il gol segnato in extremis che ha permesso al Portogallo di vincere contro la Repubblica Ceca: quest’ultimo visibilmente commosso in tribuna che si abbraccia con alcuni conoscenti. Lui che è stato più volte criticato per volerlo con sé al Porto: un “figlio di” pesantissimo. Infine, la dinastia che non ti aspetti, quella dei Sané, Leroy, il figlio che gioca nella Germania e il padre, Souleyman, senegalese con cittadinanza francese, allenato da Joachim Löw ai tempi del Friburgo. L’unico esempio in cui il figlio ha ‘ucciso’ il padre e non ha complessi d’inferiorità.

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