Alza la Coppa, Chiellini. Alzala e tienila alta perché tutti la vedano e tutti capiscano che sul tetto d’Europa ci siamo solo noi. Cinquantatré anni è durato l’inseguimento di questo titolo che l’Italia di Valcareggi conquistò nel ‘68. Valcareggi che diede agli azzurri il primo trofeo dopo i mondiali di Pozzo del ‘34 e del ‘38 e prima dei trionfi di Bearzot, Lippi, Bearzot e adesso Mancini. Mancini, il magnifico visionario, il ricostruttore di una Nazionale dissoltasi nella maledetta notte del 13 novembre 2017, da Mancini ricostruita in tre anni. Mancini che ha cambiato la mentalità, il gioco, la prospettiva di un’Italia pazzescamente bella e per ciò stesso unica. Mancini che il primo giorno da ct disse: vi porterò in finale e la vinceremo. La finale di Wembley che è stata il paradigma di una squadra strada facendo diventata sempre più forte perché, sempre più ha creduto, in se stessa e non ha mai avuto paura di spostare i propri limiti sempre più in là.
Alza la Coppa, Chiellini. Alzala perchè siamo campioni d’Europa in un giorno magico come l’11 luglio di trentanove anni fa a Madrid. Alzala perché non ci sono davvero più parole per dirti e per dirvi che cosa siete per tutti noi, per il nostro Paese che solo Dio sa quanto abbia sofferto e patito per questa pandemia. E sono di tutti le lacrime di Mancini e Vialli, di Mancini che abbraccia Vialli che abbraccia Donnaruma che abbraccia Bonucci che abbraccia tutti: sono straordinari il valore e il significato di questo trionfo per il calcio italiano, per la formidabile spinta propulsiva che darà all’intero movimento, per la felicità che ha trasmesso a un’intera nazione. Dice bene Bonucci, mettendo le braccia al collo di Chiellini, i due gladiatori: è qualcosa d’incredibile ciò che la Nazionale ha fatto davvero. Per non dire di Super Gigio, campione d’Europa a 22 anni, miglior giocatore del torneo, in questo momento il più forte portiere del mondo. Per non dire di Spinazzola, della sua eccezionale forza d’animo, grazie alla quale ha reagito al dramma dell’infortunio al punto di mantenere fede alla promessa fatta ai compagni: voi andate in finale che a Wembley ci sarò, anche con le stampelle. Storie di uomini e di campioni, di calcio e di vita, in questa notte che magica lo è di certo, anche se l’aggettivo non ne esprime compiutamente la grandezza. Per la terza volta nella sua storia, l’Italia ha vinto a Wembley e, ieri sera, l’ha fatto nell’occasione migliore. Con rispetto parlando, gli azzurri hanno impartito una lezione ai maestri che il calcio hanno inventato, ma da cinquantacinque anni cercano inutilmente di mostrare che sanno ancora insegnarlo. Onore comunque all’Inghilterra, tradita dalla sua sicumera, convinta che il gol a freddo di Shaw le spalancasse le porte dell’empireo, circuita da un’avversaria progressivamente uscita alla distanza, capace di fiaccarne l’iniziativia, irretendone la manovra. Onore a Gabriele Gravina, uno dei più grandi presidenti nella storia della Federazione Italiana Gioco Calcio: vi ricordate i peracottari del Palazzo che quindici mesi fa volevano chiudere il calcio per fare come la Francia? Se non ci fosse stato Gravina, sarebbe successo. Gravina che, prima dell’Europeo, ha prolungato il contratto di Mancini sino al 2026. In calce a questo trionfo c’è anche la sua firma. In maiuscolo.