© Getty Images“Finale Dahoam” si dice in dialetto bavarese. Finale in casa, sostanzialmente. Un termine coniato per quella notte del maggio 2012 in cui il Bayern Monaco sognava il trionfo casalingo all’ultimo atto della Champions League, quando di fronte si trovò il Chelsea di Roberto Di Matteo, fresco di scalpo all’ultimo Barcellona di Guardiola in semifinale, ma arrivato senza metà della formazione titolare. Ma con Drogba. Il resto è storia: il gol dell’ivoriano che risponde a Müller, i rigori finali, gli errori di Olic e soprattutto di Schweinsteiger, cuore bavarese più di tutti.
Il Bayern e le finali in casa ‘maledette’
L’incubo vissuto quella notte è stato cancellato solo parzialmente dal triplete della stagione successiva, vinta a Wembley contro il Dortmund con il gol di Robben nel finale. Soprattutto perché quella sera tutti i 70mila tifosi ‘di casa’ - in tutti i sensi - erano convinti di vincere. E invece, doccia gelata.
Doppio dolore, considerando che era la quarta volta che a Monaco si giocava la finale: nelle tre edizioni precedenti mai una volta il Bayern era riuscito ad arrivarci. Anche perché il club più titolato di Germania aveva mancato la qualificazione, non essendo campione. Insomma, è stato spettatore forzato nel 1979, quando il Nottingham Forest di Brian Clough scrisse la storia, nel 1993 (Marsiglia-Milan 1-0) e persino nel 1997 (la storica vittoria del Borussia Dortmund per 3-1 contro la Juventus).
Obiettivo 2025
Un film già visto in campo europeo, con la Roma nel 1984 e i rigori contro il Liverpool. Bisogna tornare a sessant’anni fa per trovare una vittoria in Champinos League in casa: ci riuscì l’Inter nel 1965 contro il Benfica con il gol di Jair, ma anche il Real Madrid al Bernabéu 8 anni prima (2-0 con la Fiorentina).
Nessuno è mai riuscito a giocare due finali in casa: il Bayern quest’anno ha l’occasione di riuscirci, visto che il 31 maggio la partita europea più attesa del 2025 si terrà proprio all’Allianz Arena. Non serve specificare che la stagione a Monaco ha un obiettivo da perseguire più di altri.