Il calcio spagnolo s’interroga sul ‘traffico’ dei giovani calciatori

Un incontro tra i responsabili dei settori giovanili ha portato a galla la preoccupazione per l’acquisto di baby giocatori, in un Paese in cui non c’è una regolamentazione su questi trasferimenti
Il calcio spagnolo s’interroga sul ‘traffico’ dei giovani calciatori© EPA

I responsabili dei settori giovanili spagnoli si sono incontrati allo stadio El Molinon di Gijón, evento che è arrivato alla sua ottava edizione. Lì dove si discute della cura dei giovani talenti, della loro salute, fisica e mentale, dell’atteggiamento dei genitori, della necessità di educare le famiglie ad avere un rapporto sano con lo sport agonistico e, soprattutto, del mercato dei minori, in un Paese, la Spagna, dove non c’è una vera e propria regolamentazione. Ramon Lozano, direttore del settore giovanile del Real Zaragoza S.A.D., è stato diretto: «C’è un commercio di bambini, con un pagamento immediato o differito, con persone che ci lucrano e che così peggiorano non solo il calcio ma il mondo intero». Iñaki Alonso, responsabile della protezione dell’infanzia per l’Athletic Bilbao e direttore di Kunina, un’organizzazione che lavora per mettere a terra le buone pratiche per la cura della salute dei bambini, sarcasticamente, ha detto: «Presto ci saranno gli scout nei reparti maternità – aggiungendo –. Se cominciamo a fare calciomercato tra i ragazzini di 10-11 anni, c’è un rischio per loro. Attrarre talenti così piccoli è pericoloso, pericoloso in termini di protezione dei minori». 

Servono regole precise

In Spagna, come accennato, non esiste una regolamentazione sul trasferimento dei bambini e quasi tutti i dirigenti dei settori giovanili che si sono incontrati a Gijón concordano sulla necessità di regolamentarlo in qualche modo, di fissare un limite di età o, nel peggiore dei casi, di risarcire finanziariamente la società che perde il calciatore. Con la maggioranza che propende per la prima soluzione, cioè non ‘strappare’ troppo presto il bambino dal suo ambiente. Consapevoli che, una volta adottata la nuova regola, ci sarà sempre pronta una deroga o un suo aggiramento. Luis Martínez, direttore dell’Accademia del Valencia C.F., ha spiegato la sua visione: «Preferisco mettere un tetto all’età in cui un calciatore bambino può trasferirsi, perché se puntiamo sulla compensazione economica i club più ricchi ne trarrebbero maggiori benefici. Qualcosa, però, va fatto, perché l’infanzia dentro il calcio deve essere tutelata». Anche Ángel Alcalde, direttore del settore giovanile del C.A. Osasuna, si è detto preoccupato: «I problemi sono molteplici e c’è bisogno di una regolamentazione. Però, credo che si debbano affrontare a livello governativo, perché mancano le leggi e quindi gli strumenti per arginare il fenomeno. Infine, dobbiamo guardarci allo specchio e fare in modo che tra di noi ci sia chiarezza su questo argomento, con l’aiuto della Liga a della federazione»; il C.A. Osasuna, tra l’altro, è uno dei club che collabora con Iñaki Alonso per la protezione dei giovani calciatori. 

Il ruolo delle famiglie

Nel dibattito, accesso, si è registrata anche qualche voce dissonante, come quella di Sesé Rivero, del C.D. Tenerife: «Io sono d’accordo a mettere dei paletti, però dobbiamo essere consapevoli che sono le famiglie a decidere dove fare giocare i propri figli. C’è una realtà globale che non può essere taciuta, senza contare che i club, grazie ai media, si fanno pubblicità quando acquistano un talento giovanissimo. È difficile, quindi, capire come stare dentro questo sistema senza essere slegati dalla realtà che ci circonda». Un altro tema particolarmente delicato è quello della ‘catena di montaggio’ dei settori giovanili, che mette i bambini in situazioni rischiose solo per vedere come reagiscono, portati al limite per metterne in evidenza qualità e fragilità. Atteggiamento che, se può andare bene per un diciottenne, è dannoso per un bambino, non solo dal punto di vista sportivo ma, soprattutto, da quello personale e della salute mentale, rispetto a temi quali: la sconfitta, l’affermazione di sé e la pressione di allenatore e famiglia. Per finire con una questione che accomuna tutti, l’allontanamento dei genitori dalla formazione, non solo sportiva, perché distraenti e tossici nei loro atteggiamenti. Ecco, in un periodo dell’anno in cui si ‘sbava’ per le notizie di calciomercato, non bisognerebbe mai dimenticare che dietro a un giovane calciatore esaltato come futuro campione c’è un bambino che vorrebbe solo giocare, magari a calcio.

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