Mancini e la maledizione dei cammelli del deserto

L'ex ct dell'Italia lascia il regno saudita dopo l'amara esperienza con la nazionale dei Green Falcons

Avverte un antico proverbio arabo: "Non bastano tutti i cammelli del deserto per comprarti un amico". Roberto Mancini potrebbe parafrasare: non bastano tutti i cammelli del deserto per comprarti una Nazionale competitiva. Soprattutto, se venti giocatori che convochi nell'Arabia Saudita vanno regolarmente in panchina nel campionato dell'Arabia Saudita, poiché ogni squadra del medesimo può schierarne dieci alla volta. Non riuscirai mai a vincere con gli Al-Suqour Al-Khodhur, i Green Falcons, nemmeno pagandoti 25 milioni all'anno. Così, dopo soli quattordici mesi, torni a casa intascandone cinquanta, comprensivi di buonuscita pari a un anno di stipendio, cioè 3 milioni 571 mila 428 euro al mese, 115 mila 207 euro al giorno, secondo i minuziosi calcoli di un sito inglese, specializzato nel fare i conti in tasca agli allenatori. Eppure, ci sono alcune cose da dire, al di là delle irrisioni haters e degli scipiti commenti sull'epilogo dell'avventura dell'ex ct azzurro, campione d'Europa l'11 luglio 2021, eliminato dalla corsa al Mondiale in Qatar il 24 marzo 2022, dimessosi il 12 agosto 2023, ingaggiato dalla federazione di Bin Salman il 27 agosto 2023 con un contratto quadriennale di 100 milioni di euro, congedato "consensualmente" il 24 ottobre 2024.

Quando Mancini criticò la Federcalcio saudita

Un conto è stata la cocente delusione che Mancini procurò a milioni di tifosi dell'Italia quando la lasciò a cavallo di Ferragosto, quindici mesi dopo lo choc macedone e in piena rincorsa alla qualificazione all'Europeo; decisione che per gli stessi tifosi suonò tradimento, nonostante le ragioni addotte dall'interessato. Ognuno è artefice del proprio destino e ha il diritto di costruirselo, consapevole che nel Paese dei 60 milioni di ct molti vorrebbero essere al tuo posto e, anche per questo, ti giudicano a seconda di ciò che fai, in panchina e quando non siedi in panchina. Un altro paio di maniche è misconoscere le ragioni del flop: in primis, affondano le radici nella bulimia di stranieri che affligge la ricchissima lega saudita, a scapito della Nazionale saudita. Era il 9 settembre corso, quando, dopo il deludente pareggio con l'Indonesia, gruppo C del girone di qualificazione ai Mondiali 2026, Mancini si sfogò: "I calciatori arabi hanno bisogno di trovare più spazio in campionato. Servirebbe una maggiore cooperazione tra la federazione e la lega: venti dei giocatori che ho convocato si siedono sempre in panchina nei rispettivi club". Post sui social, a domanda risposta dopo l'addio a Riyad dell'Eroe di Wembley: "Perché Mancini ha lasciato l'Arabia e perché Pioli l'ha già conquistata con l'Al-Nassr? Semplice. Perché Pioli (7 vittorie di fila e 1 pareggio con l'Al-Nassr) ha in squadra Ronaldo e Brozovic. Mancini no".

Mondiali 2026 ancora possibili

Allargando lo sguardo alla Saudi Pro League, Mancini non ha avuto manco Milinkovic-Savic, Mané, Kanté, Koulibaly, Kanté, Neymar appena rientrato, Alvarez, Kessie, per dire. La frustrazione di Roberto è cresciuta di pari passo con il magro valore tecnico della rappresentativa espressione di un magro movimento indigeno. Il bilancio totale dell'italiano in gare ufficiali parla di 7 vittorie, 5 pareggi, 6 sconfitte. Di sicuro, sul divorzio ha pesato anche l'eliminazione negli ottavi di finale della Coppa d'Asia 2023 per mano della Corea del Sud. Tuttavia, il pass per i Mondiali 2026 è ancora possibile, come ha sibillinamente rimarcato Mancini nel post d'addio a Riyad, pubblicando la situazione del gruppo C asiatico: con sei partite ancora da giocare, l'Arabia Saudita è seconda assieme al Giappone (5 punti: 1 vittoria, 2 pareggi, 1 sconfitta), a -5 dalla capolista Australia. Epperò, in Canada, Messico e Usa andranno direttamente le prime due di ciascun girone, mentre la terza e quarta saranno divise in due gironi da tre, le cui vincitrici guadagneranno la qualificazione.

"Ripulirsi la coscienza con un pallone"

Questi, adesso, non sono più affari del cinquantanovenne signore jesino che ha pagato anche le incomprensioni e i litigi con la tifoseria, senza contare i tumultuosi rapporti con la critica saudita. Su tutto, sopra tutto, mai dimenticare il mancato miracolo calcistico che il principe Ben Salman si aspettava dall'uomo capace di riportare in Italia il titolo europeo inseguito per 43 anni. L'uomo forte del regime saudita, primo ministro dal 28 settembre 2022 e primo in linea di successione al trono arabo, sa quanto una Nazionale in lizza nel prossimo Mondiale sarebbe preziosa per la campagna di sportwashing condotta senza badare a spese. È, questa, la strategia che sfrutta lo sport per rifarsi una reputazione in campo internazionale; per dirla con Amnsty Internaitional: "Ripulirsi la coscienza con un pallone". Ma non è stata tutta colpa di Mancini se i Green Falcons hanno volato così basso.

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