Calcio, calendario folle? Anche gli ingaggi! Se nessuno fa un passo indietro...

Il cane che si morde la coda e cosa succede se la battaglia la vince il mercato e la spinta a globalizzare ogni sport

Il sindacato dei calciatori è un concetto che fa ridere solo a pensarci, un ossimoro dal grande potenziale comico. Perché la parola sindacato, per quanto impolverata, indica ancora un concetto importante, ma solo quando, e se, si occupa di chi non ha diritti, di chi è sfruttato, di chi non riesce a farsi sentire. Un’élite che si prende il 75% del fatturato complessivo del calcio mondiale tra stipendi e commissioni per gli agenti e protesta per le condizioni di lavoro, non si può proprio sentire. Sarà anche il più facile dei populismi, la demagogia che segna un gol a porta vuota, però non si può accettare la protesta della Fifpro secondo la quale si gioca troppo, perché a giocare troppo non sono dei poveretti che prendono mille euro al mese, ma i più grandi giocatori del mondo, il più povero dei quali guadagna 5 milioni all’anno lordi. Se il calendario è folle, infatti, è per la necessità dei club di incassare, una voracità generata più dal disperato bisogno di tamponare i costi legati ai calciatori che per la volontà di incassare dei proprietari (tranne qualche rara eccezione). È un cane che si morde la coda: il giocatore chiede più soldi, il club rimedia quei soldi giocando più partite e il giocatore protesta perché gioca troppo.

Nessuno fa un passo indietro

Chissà cosa pensa la Fifpro della proposta di tagliare del 20% il numero delle partite in calendario e contestualmente dare una sforbiciata del 20% agli ingaggi? Il problema di questa situazione è che nessuno fa un passo indietro e, anzi, tutti si fanno la guerra (legale), minacciando cause, rivolgendosi alla istituzioni politiche o giuridiche europee. E così non si risolve niente. Il calendario è intasato, i campionati nazionali, ovvero le Leghe, cercano di difendersi dalla perdita di risorse e di interesse, così fanno la guerra alla Fifa per aver aggiunto il Mondiale per club, ma guai a toccare loro le 20 squadre! Sono sempre gli altri che occupano le date, che si prendono spazio in più, nessuno è pronto a contarsi le proprie partite e i propri matchday. E questo è un grosso problema, perché in questa gazzarra nessuno ha ragione, tutti hanno una quota di torto. Si giocano un sacco di partite inutili, a livello di Nazionali (avevamo proprio bisogno della Nations League?), a livello di campionati nazionali (sbirciatevi l’audience di certe sfide), a livello di Coppe Europee (davvero il nuovo format della Champions aumenta le sfide spettacolari?). Se tutti sfrondassero, il calendario potrebbe respirare e, forse, ci terremmo il meglio di tutto: dalle competizioni locali a quelle mondiali. Altrimenti, la battaglia la vince il mercato e la spinta a globalizzare ogni sport che spazzerà via, per primi, i campionati nazionali, al momento l’anello più debole della catena. E non sarebbe una cosa del tutto salutare per il calcio che nel radicamento al territorio e a certe tradizioni affonda radici che lo nutrono. Ma se vogliamo parlare di tradizioni e rimanere in Italia, vale ricordare che l’età dell’oro della Serie A è coincisa con un periodo in cui il campionato era a 16 o 18 squadre. Così, per dire.

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