Gli ultras non rispondono
Si sono avvalsi tutti della facoltà di non rispondere i primi ultrà milanisti ed interisti interrogati stamattina nel carcere milanese di San Vittore, davanti al gip Domenico Santoro e ai pm, dopo il maxi blitz di due giorni fa della Dda milanese, di Polizia e Gdf. In particolare, sono rimasti in silenzio Francesco Lucci, difeso dall'avvocato Jacopo Cappetta e tra i capi della curva Sud milanista, nonché fratello del leader Luca (sarà sentito più avanti, non stamattina come scritto in precedenza), Riccardo Bonissi e Luciano Romano, anche loro accusati di far parte dell'associazione per delinquere della curva rossonera. Infine, ha deciso di non rispondere alle domande anche Andrea Beretta, l'ormai ex capo della curva Nord interista e che era nel direttivo assieme a Marco Ferdico e Antonio Bellocco, quest'ultimo esponente dell'omonima cosca della 'ndrangheta e ucciso proprio da Beretta, che è in carcere per l'omicidio dal 4 settembre scorso. Gli interrogatori andranno avanti anche nel pomeriggio e domani, ma la linea dei sedici ultrà finiti in carcere appare chiara: silenzio davanti al giudice. Anche gli altri quattro arrestati interrogati oggi dal gip si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Si tratta di Christian Rosiello, anche lui nell'associazione per delinquere capeggiata da Luca Lucci e bodyguard di Fedez, di Islam Hagag, pure lui esponente della curva rossonera e amico del rapper, e di altri due ultrà rossoneri, Fabiano Capuzzo e Alessandro Sticco. Domani, invece, saranno interrogati il capo ultrà milanista Luca Lucci e quello interista Marco Ferdico e gli altri finiti in carcere. Anche se pare scontato che tutti sceglieranno di non rispondere.
I rapporti con la 4Exodus
Un responsabile di una cooperativa, la "4Exodus", si sarebbe reso "disponibile ad interessarsi per far ottenere misure alternative alla pena detentiva a conoscenti ed amici" di Andrea Beretta, l'ex capo ultrà interista in carcere per l'omicidio di Antonio Bellocco e destinatario di nuova ordinanza due giorni fa, e di Vittorio Boiocchi, l'ex leader della curva Nord ucciso nel 2022. E avrebbe ottenuto "in cambio favori come, ad esempio, maglie firmate dai giocatori per i propri familiari o la 'prelazione' per la propria cooperativa sull'eventuale donazione devoluta dalla curva a seguito iniziative benefiche". E' un altro dei dettagli che viene a galla dalla richiesta di custodia cautelare per gli ultrà arrestati nel maxi blitz. E' emerso, scrivono i pm Storari e Ombra, che la "We are milano", l'associazione gestita dai capi curva interisti e usata come "facciata legale" per business illeciti, "ha stretto contatti finalizzati ad una stabile collaborazione con la Comunità Exodus di Don Antonio Mazzi". Il referente principale della "comunità è Sartori Ermanno Roberto, fra i responsabili di una cooperativa, la 4Exodus, nata da una costola della Onlus di Don Mazzi". Tra Sartori, scrive ancora la Procura, "Beretta ed altri ultras come Claudio Morra, è emerso un rapporto particolarmente confidenziale, improntato al reciproco scambio di favori".
Risolto un cold case
L'inchiesta che ha decapitato i vertici ultrà di Inter e Milan ha risolto anche un cold case. Per l'omicidio, che risale al 1992 e finora rimasto irrisolto, di Fausto Borgioli, detto "Fabrizio", luogotentente di Francis Turatello, protagonista della mala milanese degli anni '70 assieme a Renato Vallanzasca e ad Angelo Epaminonda, è stata notificata oggi dalla Gdf una misura cauteare in carcere a Giuseppe Caminiti, già in cella da lunedì nell'ambito dell'operazione "doppia curva". A incastrare Caminiti, "diretta emanazione della 'ndrangheta per espressa e plurima ammissione" e in affari con Andrea Beretta, leader della tifoseria nerazzurra, nella gestione alcuni parcheggi "abusivi" vicino a San Siro, sono state anche alcune intercettazione del luglio 2020.
© RIPRODUZIONE RISERVATA