Pagina 1 | Mercato, comandano i calciatori: correggere la Bosman per la sostenibilità

All’indomani della sentenza Bosman, che avrebbe operato la più profonda rivoluzione avvenuta nel mondo del calcio negli ultimi trent’anni, il Real Madrid e il Manchester United contavano su un fatturato di 125 e 130 milioni di euro. Era il 1997 e ventisette anni dopo, il Real Madrid ha sfondato il tetto del miliardo di euro, mentre lo United si aggira intorno agli 800 milioni. Il calcio è cresciuto in modo esponenziale, soprattutto negli ultimi vent’anni, ma paradossalmente la sostenibilità, difficile anche allora, è ancora di più un miraggio per la maggior parte dei club. Cattiva gestione? Sicuramente è un fattore, ma il punto debole del sistema che squilibra i conti è il costo del lavoro, ovvero gli ingaggi dei giocatori che, più ancora che il costo dei cartellini, zavorra i bilanci delle società. I giocatori, infatti, guadagnano molto di più che nel 1997, questo perché la legge Bosman ha aumentato in modo abnorme il loro potere negoziale.

Come è cambiato il calcio

Si è passati da un calcio in cui il vincolo e l’impossibilità di scegliere la propria destinazione comprimevano in modo iniquo i diritti dei calciatori a un sistema in cui la forza del giocatore è schiacciante e avvita i costi del club in una spirale spesso pericolosa. Anche perché il calcio è un business in cui il fattore emotivo e le motivazioni di chi investe possono, e spesso lo sono, ritrovarsi fuori da ogni logica economica e manageriale. Se un presidente ha necessità o la volontà di rilanciare il suo club, per strappare un campione a un avversario può offrire uno stipendio doppio o triplo. L’altro club, a quel punto, è preso nella morsa che tifosi e dirigenti conoscono bene. Non accontentare il giocatore significa: perderlo a parametro zero nel giro di una o due stagioni oppure tenerlo demotivato e poco coinvolto. Così, nel 90% dei casi, si cede. I contratti che vengono firmati con grande cerimoniosità non hanno, di fatto, più alcun valore, perché sono oggetto di ricatti che li riducono a pezzi di carta. Così un giocatore che azzecca una stagione chiede immediatamente un aumento dell’ingaggio, pattuito anche solo 10 mesi prima. Viceversa se il giocatore non rende, il contratto diventa un baluardo inespugnabile per il club che vuole cederlo a un altro club.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Correggere la Legge Bosman

Altra conseguenza: in questo scenario proliferano i procuratori meno seri e vengono danneggiati quelli che lavorano con maggiore etica professionale. E, soprattutto, per mantenere alta la competitività, i club sono intrappolati in un meccanismo perverso: il monte ingaggi tende sempre ad aumentare, i ricavi no, perché sono soggetti ai risultati che, si sa, sono aleatori. Limitare le spese al 70% dei ricavi, come impone il nuovo regolamento Uefa, scongiura i rossi, ma rischia di squilibrare ancora di più i divari tecnici (se la potenza di fuoco del Real Madrid è di 700 milioni e quella dell’Inter è di 300 milioni, chi potrà permettersi i giocatori più forti?). E, soprattutto, non avere più potere contrattuale sui giocatori riduce il controllo dei club sui propri asset principali (i giocatori appunto) in modo non del tutto equo. Correggere una legge che deriva da una sentenza della Corte di Giustizia Europea non è cosa facile, ma se i regolamenti del mercato non ridanno forza ai contratti, rendendo più forte il dovere di rispettarli, la deregulation del mercato è destinata ad aumentare, insieme ai costi per giocatori e procuratori.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

All’indomani della sentenza Bosman, che avrebbe operato la più profonda rivoluzione avvenuta nel mondo del calcio negli ultimi trent’anni, il Real Madrid e il Manchester United contavano su un fatturato di 125 e 130 milioni di euro. Era il 1997 e ventisette anni dopo, il Real Madrid ha sfondato il tetto del miliardo di euro, mentre lo United si aggira intorno agli 800 milioni. Il calcio è cresciuto in modo esponenziale, soprattutto negli ultimi vent’anni, ma paradossalmente la sostenibilità, difficile anche allora, è ancora di più un miraggio per la maggior parte dei club. Cattiva gestione? Sicuramente è un fattore, ma il punto debole del sistema che squilibra i conti è il costo del lavoro, ovvero gli ingaggi dei giocatori che, più ancora che il costo dei cartellini, zavorra i bilanci delle società. I giocatori, infatti, guadagnano molto di più che nel 1997, questo perché la legge Bosman ha aumentato in modo abnorme il loro potere negoziale.

Come è cambiato il calcio

Si è passati da un calcio in cui il vincolo e l’impossibilità di scegliere la propria destinazione comprimevano in modo iniquo i diritti dei calciatori a un sistema in cui la forza del giocatore è schiacciante e avvita i costi del club in una spirale spesso pericolosa. Anche perché il calcio è un business in cui il fattore emotivo e le motivazioni di chi investe possono, e spesso lo sono, ritrovarsi fuori da ogni logica economica e manageriale. Se un presidente ha necessità o la volontà di rilanciare il suo club, per strappare un campione a un avversario può offrire uno stipendio doppio o triplo. L’altro club, a quel punto, è preso nella morsa che tifosi e dirigenti conoscono bene. Non accontentare il giocatore significa: perderlo a parametro zero nel giro di una o due stagioni oppure tenerlo demotivato e poco coinvolto. Così, nel 90% dei casi, si cede. I contratti che vengono firmati con grande cerimoniosità non hanno, di fatto, più alcun valore, perché sono oggetto di ricatti che li riducono a pezzi di carta. Così un giocatore che azzecca una stagione chiede immediatamente un aumento dell’ingaggio, pattuito anche solo 10 mesi prima. Viceversa se il giocatore non rende, il contratto diventa un baluardo inespugnabile per il club che vuole cederlo a un altro club.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...
1
Mercato, comandano i calciatori: correggere la Bosman per la sostenibilità
2
Correggere la Legge Bosman