Ancelotti, Gasp e Italiano: tris d'assi per tre Coppe

Se questi tre allenatori riuscisse a vincere la propria finale europea, il mondo avrebbe un'altra prova provata di quanto Coverciano sia la migliore università mondiale del football

Carlo Ancelotti, Gian Piero Gasperini e Vincenzo Italiano hanno una cosa in comune: la finale di una coppa europea. Se ognuno di loro riuscisse a vincere la propria, il mondo avrebbe un'altra prova provata di quanto Coverciano sia la migliore università mondiale del football. Un anno fa, Inter, Roma e Fiorentina si qualificarono all'ultimo atto delle tre competizioni Uefa: tutte e tre uscirono sconfitte, ma, per perdere una finale, bisogna prima guadagnarsela. O no? In panchina sedevano Simone Inzaghi, Italiano e il più italiano dei portoghesi, a nome José Mourinho. Dodici mesi dopo, c'è un tris d'assi tricolore per tre Coppe, nella stagione che, se andasse in porto un certo combinato disposto, potrebbe anche portare sei squadre in Champions e addirittura nove in Europa.

Italia al top

Non male per un movimento che lo sport nazionale dell'autoflagellazione spesso ama descrivere in crisi di valore e di valori, periodicamente costretto a difendersi dalle sciagurate invasioni di campo della politica, afflitto da un latente complesso d'inferiorità rispetto alla ricchissima Premier League. La quale, guarda caso, invece, da nove anni non andava così male in Champions e in Europa League. Eppure, soltanto nel 2023, il City sollevava il trofeo più importante e il West Ham la Conference. E vogliamo parlare del Psg che nei tredici anni di proprietà araba ha visto passare quasi cento giocatori dal Parco dei Principi, spendendo 2 miliardi di euro per non vincere mai la Champions? Il Real di Ancelotti, invece, ne ha conquistate quattordici: il 1° giugno, a Wembley, punterà alla quindicesima, che sarebbe la quinta di Carlo, la terza con i Blancos, il suo ventinovesimo titolo da allineare in bacheca, alla faccia dei frustrati webeti, secondo i quali trattasi sempre e comunque di mera fortuna. La verità è rivoluzionaria, il campo non mente e, allargando il discorso alla Viola, Atalanta e Fiorentina lo dimostrano: non c'è bisogno di Superleghe, con tanti saluti a Florentino Perez, che in Champions vive, vince, guadagna, però pensa sempre al torneo dei quattro ricconi.

I numeri di Atalanta e Fiorentina

"Il calcio è bello per la sua meritocrazia, non per diritti acquisiti geneticamente", ha sibilato Gasp, dopo avere guidato la Dea alla prima finale continentale di una storia ultracentenaria. E lo dice il signore che arrivò a un minuto da una semifinale Champions; alle spalle ha pure un ottavo di finale nello stesso torneo; negli ultimi sei anni non ha visto nessun'altra squadra italiana raccogliere più punti fuori casa e da sei anni, in Europa League, non perde in trasferta. Come non esaltare anche il lavoro di Italiano, sugli scudi per il secondo anno di fila, una finale di Coppa Italia e due di Conference, pigmalione di una squadra in continua crescita in campo internazionale quanto a gioco, autostima, consapevolezza della propria forza. Si dirà: ma in campionato la Viola non vola come in Europa, dimenticando che non si ottiene mai tutto e subito, ma giorno dopo giorno, partita dopo partita. Italiano è al terzo anno a Firenze, malauguratamente dicono sia l'ultimo. Un vero peccato: le otto stagioni gasperiniane a Bergamo dimostrano quale sia il valore della continuità di lavoro di chi è capace di dare un gioco offensivo, veloce, coraggioso sotto l'aspetto tattico, atleticamente vigoroso. Ha twittato Hummels, simbolo del Borussia Dortmund che ha fatto fuori il Psg: "Buon raccolto questa settimana, miei compagni contadini". Trasparente il riferimento ai "farmers", secondo la spocchia inglese tutti quei calciatori che non militano in Premier. Ha scritto Carlo Levi: "Nel mondo dei contadini non si entra senza una chiave di magìa”. Ancelotti, Gasperini e Italiano ce l'hanno.

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