Berlusconi, il rivoluzionario del pallone tra Superlega e Mundialito

La storia imprenditoriale dell'ex presidente rossonero è caratterizzata dalla straordinaria carica innovativa che ha saputo portare nel calcio e in tv: nel 1986 acquistò il Milan e nulla fu più come prima
Berlusconi, il rivoluzionario del pallone tra Superlega e Mundialito© AG ALDO LIVERANI SAS

Un rivoluzionario. Può sembrare paradossale, ma l’uomo che ha costruito la sua ascesa imprenditoriale e politica cercando di soddisfare i desideri e le necessità dell’operosa borghesia italiana è stato un rivoluzionario del pallone. Sarebbe semplicistico limitarsi a sottolineare che nessuno, prima di lui, aveva pagato tanto i calciatori, acquistando tutti i campioni di cui si invaghiva senza badare a spese: facile, con i soldi che ha, dicevano i detrattori. Poi, però, gli epigoni hanno puntualmente fallito, perché provavano a copiare il modello senza avere capacità neppure accostabili alle sue. Aveva una visione, Berlusconi, che ha saputo applicare al calcio trasformandolo - nel bene e nel male - in qualcosa che prima non c’era. Aveva la convinzione che vincere non bastasse. Bisognava divertire e divertirsi, sedurre le masse con il bel «giuoco», stupirle con scelte rischiose come quella di affidare il Milan ad Arrigo Sacchi, nella cui mente seppe leggere la sua stessa visionarietà, o spettacolari come l’arrivo a Milanello in elicottero.

Rivoluzione Mundialito

Ma la vera rivoluzione, nessuno l’aveva intuito allora, ha un’altra data: 1980. Dal 30 dicembre al 10 gennaio si giocò in Uruguay la Coppa d’Oro dei Campioni del Mondo, per comodità ribattezzata Mundialito. Parteciparono le nazionali che avevano vinto almeno una volta il Mondiale: Argentina, Brasile, Germania Ovest, Italia, Uruguay. Doveva esserci anche l’Inghilterra, che però non sacrificò il boxing day per questa competizione anomala e rifiutò l’invito: la sostituì l’Olanda. La società panamense che acquistò i diritti televisivi li mise in vendita a un milione e mezzo di dollari. L’Eurovisione, che raggruppava diverse tivù pubbliche, ne offrì 750.000. La trattativa si interruppe. E un attimo dopo Berlusconi si fece avanti, proponendo di chiudere a 900.000 dolla- ri. Fino a quel momento nessuno aveva neppure immaginato di trasmettere una partita di calcio - dell’Italia, poi! - su una rete che non fosse della Rai. Per un evento del genere era necessario il satellite, gestito da Telespazio di fatto in esclusiva per l’ente di stato. Divenne un caso politico, risolto naturalmente a modo nostro. La Rai decise di concedere il satellite a Canale 5, che trasmise tutte le gare: in diretta nella sola Lombardia, in leggera differita nel resto del Paese. In cambio, si stabilì che gli incontri degli azzurri andassero in onda sulla Rai, una sorta di patteggiamento che permise a Berlusconi di compiere un clamoroso salto di qualità con un’emittente il cui marchio era stato depositato appena un anno prima e di incassare ingenti introiti pubblicitari.

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Berlsuconi tra Superlega e Polisportiva "alla spagnola"

Nel 1988, pochi giorni dopo la conquista del primo scudetto con il Milan, Berlusconi lanciò un progetto che non si concretizzò: la Superlega. "Nelle Coppe europee prevale l’imponderabile. Dobbiamo trasformarle in un campionato continentale, con certezze gestionali ed economiche per le società. Andremmo a giocare sempre a Madrid, Barcellona e Lisbona, non in qualche paesino sperduto di provincia", sentenziò in un’intervista al Corriere della Sera. Fece poi retromarcia, avendo intuito che gli amanti del calcio non sarebbero stati d’accordo ("È un vecchio progetto, urta i tifosi: non è attuale", aggiornò il pensiero nel 2021). Forse, ci piace pensare, incise anche il fatto che il calcio fosse una delle due passioni mai abbandonate durante l’intera esistenza. Durò solo qualche anno un’altra idea avveniristica, quella di creare una polisportiva sul modello dei club spagnoli: al Milan affiancò squadre di baseball, hockey su ghiaccio, pallavolo e rugby, sotto la direzione di Fabio Capello. Finì poi per concentrare denaro ed energie sul calcio e sulla televisione, le basi sulle quali Silvio il Rivoluzionario ha costruito la formi- dabile macchina del consenso. I due ambiti nei quali ha potuto legittimamente dire: "Dopo di me, nulla è stato come prima".

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Un rivoluzionario. Può sembrare paradossale, ma l’uomo che ha costruito la sua ascesa imprenditoriale e politica cercando di soddisfare i desideri e le necessità dell’operosa borghesia italiana è stato un rivoluzionario del pallone. Sarebbe semplicistico limitarsi a sottolineare che nessuno, prima di lui, aveva pagato tanto i calciatori, acquistando tutti i campioni di cui si invaghiva senza badare a spese: facile, con i soldi che ha, dicevano i detrattori. Poi, però, gli epigoni hanno puntualmente fallito, perché provavano a copiare il modello senza avere capacità neppure accostabili alle sue. Aveva una visione, Berlusconi, che ha saputo applicare al calcio trasformandolo - nel bene e nel male - in qualcosa che prima non c’era. Aveva la convinzione che vincere non bastasse. Bisognava divertire e divertirsi, sedurre le masse con il bel «giuoco», stupirle con scelte rischiose come quella di affidare il Milan ad Arrigo Sacchi, nella cui mente seppe leggere la sua stessa visionarietà, o spettacolari come l’arrivo a Milanello in elicottero.

Rivoluzione Mundialito

Ma la vera rivoluzione, nessuno l’aveva intuito allora, ha un’altra data: 1980. Dal 30 dicembre al 10 gennaio si giocò in Uruguay la Coppa d’Oro dei Campioni del Mondo, per comodità ribattezzata Mundialito. Parteciparono le nazionali che avevano vinto almeno una volta il Mondiale: Argentina, Brasile, Germania Ovest, Italia, Uruguay. Doveva esserci anche l’Inghilterra, che però non sacrificò il boxing day per questa competizione anomala e rifiutò l’invito: la sostituì l’Olanda. La società panamense che acquistò i diritti televisivi li mise in vendita a un milione e mezzo di dollari. L’Eurovisione, che raggruppava diverse tivù pubbliche, ne offrì 750.000. La trattativa si interruppe. E un attimo dopo Berlusconi si fece avanti, proponendo di chiudere a 900.000 dolla- ri. Fino a quel momento nessuno aveva neppure immaginato di trasmettere una partita di calcio - dell’Italia, poi! - su una rete che non fosse della Rai. Per un evento del genere era necessario il satellite, gestito da Telespazio di fatto in esclusiva per l’ente di stato. Divenne un caso politico, risolto naturalmente a modo nostro. La Rai decise di concedere il satellite a Canale 5, che trasmise tutte le gare: in diretta nella sola Lombardia, in leggera differita nel resto del Paese. In cambio, si stabilì che gli incontri degli azzurri andassero in onda sulla Rai, una sorta di patteggiamento che permise a Berlusconi di compiere un clamoroso salto di qualità con un’emittente il cui marchio era stato depositato appena un anno prima e di incassare ingenti introiti pubblicitari.

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