L’esonero di Sinisa Mihajlovic è forse il primo, vero gesto di rispetto usato nei suoi confronti da molti mesi a questa parte. Lo disse lui per primo: misuratemi e giudicatemi come allenatore, non come paziente. Il Bologna è partito male in questa stagione, le prestazioni sono state deludenti, corretto dunque – professionalmente – cambiare guida. Mantenere Sinisa in panchina per pietà sarebbe stato un oltraggio al suo orgoglio e alla sua storia. Ha scritto Massimo Gramellini: «A un uomo con il suo carattere non si manca di rispetto mandandolo via nonostante sia malato, ma rinunciando a mandarlo via soltanto perché è malato». Impossibile trovare una sintesi migliore. Andiamo con i fatti. A maggio il Bologna aveva deciso di cambiare allenatore. Ribadiamo: giusto e legittimo se il progetto tecnico non convinceva più. Riccardo Bigon, il direttore sportivo sacrificato come Walter Sabatini malgrado gli 80 milioni di euro fatti guadagnare al Bologna con i vari Tomiyasu, Theate, Hickey e Svanberg, aveva avvicinato e quasi convinto Roberto De Zerbi, cui si è rivolto ancora martedì l’ad Fenucci. In modo trasparente, dunque professionale, Bigon spiegò in faccia a Mihajlovic le motivazioni. Poi c’è stata la ricaduta di Sinisa e la recidiva della tremenda malattia ha spinto il club a proseguire col rapporto, trascinando una vicenda già consunta da silenzi, distanze, visioni differenti. Come tutte le situazioni che non si vogliono risolvere è diventata ingestibile. Nel curiale spirito cui è informata Casteldebole, si sono consumati Donadoni prima e Mihajlovic adesso.
Con la sua politica vescovile, il Bologna non ha deciso. In ciò ha mancato di rispetto a Mihajlovic, non nel dire basta. Non si fa beneficenza a un uomo come lui, non si mettono nemmeno ragioni umanitarie di fronte alle algide scelte aziendali. Ai colori. Al Bologna non ha vinto la linea laica, bensì l’aspersorio. Lo sa bene Giovanni Sartori, scopritore di talenti che si era presentato in città a giugno con Tudor pronto per la panchina. Una sera, a cena con il presidente Saputo e Fenucci, l’ex dirigente Atalanta aveva preso atto che il campo veniva dopo l’opinione pubblica. Eppure il Bologna avrebbe avuto sinceramente poco da rimproverarsi: per tre anni ha accompagnato il suo allenatore nelle difficoltà, lo ha difeso, l’ha aspettato durante le ovvie assenze dai ritiri. Poi è tornato Saputo dal Canada, ci sono state le bruttissime prove con Salernitana e Spezia, e i musi lunghi sono tracimati nella decisione finale. Indotta, più che maturata. Ma almeno ha messo un punto chiaro a questo peloso indecisionismo. Il riflesso si è continuato a sentire per giorni, se è vero che alla figura emergente di Thiago Motta si è contrapposta quella rassicurante, protettiva per i media e al dunque più “politica” di Claudio Ranieri, suggerito da un ex dirigente rossoblù. A tutti dispiace per come è finita l’avventura di Sinisa. Non può essere una corsa a chi è più sensibile, addolorato, dispiaciuto, amico. Non si può che volere un bene enorme a un uomo monumentale. Che molti anni fa, proprio a Bologna, ha deciso di essere un allenatore e che aveva finalmente diritto di essere trattato come tale.