Questo anno orribile continua a non risparmiarci nulla. Nemmeno il dramma di un campione come Mauro Bellugi che ha onorato la maglia azzurra, dell’Inter, del Bologna, del Napoli, della Pistoiese e, diventato opinionista, si è fatto apprezzare per la sua competenza e la sua rutilante dialettica. Ieri, quando ho letto su Facebook il toccante post di Luca Serafini, collega, amico, sodale televisivo di Mauro, non volevo credere a quanto accaduto a uno dei migliori stopper del nostro calcio, quando lo stopper era lo stopper, non il difensore centrale. Bellugi, sinonimo di marcatore roccioso, mastino incollato all’avversario sino a togliergli il respiro. Uno che dal campo usciva con la maglia sudata sempre ed è anche per questo che l’hanno sempre amato i tifosi delle sue squadre. A cominciare dall’adorata Inter con la quale segnò al Borussia Moenchengladbach e, pensando a quella prodezza, in ospedale ha rimbrottato il chirurgo «perché mi ha tolto anche la gamba con cui feci gol ai tedeschi».
Il Leone di Wembley
Uno che, dopo avere subito l’amputazione delle gambe, a Serafini ha detto: «Prenderò quelle di Pistorius, così nei corridoi degli studi televisivi ti sorpasserò». Né il coraggio né la forza mancano al Leone di Wembley, in campo con l’Italia quel 14 novembre 1973, quando Fabio Capello firmò la prima, storica vittoria azzurra in casa degli inglesi. A questo coraggio, a questa forza, caro Mauro, sono certo tu stia facendo ricorso per superare una prova tremenda. E non hai idea del tifo infernale che fanno per te tutte le persone che ti vogliono bene, ti stimano, ammirano la tua straordinaria resilienza. Un abbraccio fortissimo. Virtuale, ma fortissimo.