
Quando, qualche tempo fa, l’amministratore delegato Federico Vincenzoni e il direttore Xavier Jacobelli mi hanno chiesto se mi venisse in mente un personaggio del calcio degno di aprire la rassegna “I racconti di Tuttosport” al Salone del Libro, ci ho pensato circa un secondo e mezzo. Nel successivo mezzo secondo ho detto: Eraldo Pecci. Insomma - al netto della disponibilità dell’ospite, sulla quale però non nutrivo dubbi - in due secondi la cosa era fatta. Sarà lui, stamane al Lingotto, a incontrare per primo la gente che poco alla volta sta riassaporando il piacere della vita vera. E riscoprire questo gusto attraverso la magia della lettura, la divulgazione del sapere e la condivisione delle esperienze da parte di chi ha avuto in dono i talenti per riuscirci, e ha saputo coltivarli, è oltremodo bello. Non mi sovviene un aggettivo più ricercato che renda altrettanto nitida tale sensazione, specie rapportandolo a Pecci che sulla semplicità espressiva, spontanea e diretta, ha costruito una carriera di campione e poi un’attività di commentatore che dalle telecronache della Nazionale come spalla del mitico Bruno Pizzul lo ha condotto a dibattere di pallone in maniera competente e scanzonata nel sacro salotto della Domenica Sportiva. La qualità del Pecci giocatore, e forse non a caso dei suoi commenti, non è in alcun modo pa- ragonabile alla banalità media (o alla stucchevole ricerca del tecnicismo più esasperato) dei debordanti opinionisti moderni, molti dei quali non avrebbero potuto nemmeno allacciargli gli scarpini. Che nel suo caso erano quasi scarponi, considerato che già adolescente portava il 44. Piedone del resto lo chiamavano, anche in contrasto con la statura non da watusso e una predilezione non proprio da asceta per la buona tavola e in generale i piaceri della vita. Ha scritto due libri editi da Rizzoli, Piedone. Uno - “Il Toro non può perdere” (2013) - incentrato sulla romanzesca avventura della squadra granata per la prima (e ahinoi ultima, nel 1976) volta campione d’Italia dopo Superga. Il secondo - “Ci piaceva giocare a pallone” (2018) - in cui racconta, attraverso storie vissute o apprese o anche solo orecchiate, lo smisurato amore suo e del suo piccolo mondo antico per quell’oggetto sferico formidabile vettore di emozioni. L’aspetto più godibile - e a suo modo straordinario, come a suo modo Pecci è un uomo colto, dunque totalmente atipico consi- derato il mestiere che ha fatto - è la sua capacità di interessare, anzi di coinvolgere, anche lettori e lettrici ignari di cosa sia un tiro di piatto, un tackle scivolato e la regola del fuorigioco. Quello che Pecci ha scritto - e ama raccontare, divertendo e appassionando - lo capiscono, lo assorbono e lo apprezzano benissimo tutti. Battute folgoranti e aneddoti clamorosi - alcuni proprio da sbellicarsi - ma pure ri- tratti commossi e commoventi di uomini e donne, famosi come lui o comprimari, ciascuno con qual- che valore positivo da trasmettere, vicino al senso comune della «brava gente». Anzi, proprio le figure laterali, spesso umili e sconosciute, danno vita ai capitoli (sempre brevi e ficcanti: bravo bis) più spassosi o struggenti. L’elogio dei modesti. Il rispetto degli avversari, anche quelli più accaniti. Intenerisce la sua ricerca costante degli aspetti positivi nelle persone e negli eventi, anche quando potrebbe parlarne male o fare il fenomeno. Non sono libri di calcio e sul calcio, i suoi. Sono libri di vita e sulla vita, e illustrano con rara efficacia aspetti e risvolti di città, eventi, tessuti e fermenti sociali, ambienti politici, siti storici e luoghi dell’anima con uno stile - leggero e insieme pregnante - che tanti scrittori di professione si sognano. Per tacere della sua autoironia, in un ambiente e in un mondo in cui troppi tendono a prendersi ingiustificatamente sul serio. Guarda un po’, hanno pure venduto discretamente. Non per questa ragione ha in animo di scriverne un terzo, Eraldo, ma solo perché avrebbe tante altre belle storie da raccontare. Deve vincere la sua pigrizia, dice, e trovare un modo per farlo senza sottrarre troppo tempo ai ni- potini e agli amici. Ecco, il modo in cui Pecci sa raccontare l’amicizia è strepitoso. E siccome anche Tuttosport è da quasi cinquant’anni suo amico, e lui amico di Tuttosport, siamo particolarmente fieri e felici di presentarvelo oggi.