Sei Nazioni, Il placcaggio di Izekor: "Noi non ci fermiamo”

Il terza linea di Benetton e Nazionale premiato come 'Tackle Machine'
Sei Nazioni, Il placcaggio di Izekor: "Noi non ci fermiamo”© Getty Image

Tackle Machine. Una macchina da placcaggi. Non spaventi la dicitura fantascientifica. Non parliamo di Intelligenza Artificiale e Avatar ma di rugby. Alessandro Izekor, classe 2000, terza linea dell’Italia e del Benetton Treviso è stato insignito dall’United Rugby Championship (URC) del premio di “Tackle Machine”, grazie ai 188 placcaggi, con il 98% di efficacia, messi a segno in stagione con la franchigia della Marca. Un riconoscimento giunto a coronamento di un’annata esplosiva per il flanker nato da genitori nigeriani ma bresciano purosangue, ex Calvisano, che ha trovato spazi importanti nel Treviso, con cui si è legato fino al 2028, ed è entrato nel giro della Nazionale con cui ha esordito nel Sei Nazioni. Ora Izekor è pronto per la sfida del Summer Tour che vedrà l’Italrugby in trasferta sfidare Samoa (7/7), Tonga (12/7) e Giappone (21/7).

Alessandro quali le sensazioni per questo premio?
«Sorpresa. Non sono un fissato con dati e statistiche. La gente che mi incontrava credeva che lo sapessi già da tempo. Invece, ignoravo questo premio. È una tappa, uno stimolo a progredire».

Come si diventa un placcatore seriale?
«C’è bisogno di ripetizioni, analisi e studio per trovare il perfetto automatismo. Fisico (190 cm per 106 kg, ndr) e velocità mi aiutano. All’inizio la fase difensiva me la sono fatta piacere. L’ho trasformata in un punto di forza perché lo richiede l’alto livello internazionale. Istintivamente mi sento più attaccante. Lo staff del Benetton mi sta aiutando a crescere. Coach Bortolami è metodico e ama il confronto. Con lui si migliora. Ho compiuto progressi in touche».

Sette mete segnate nell’ottima stagione del Treviso. A quale di queste è più legato?
«A quella in casa degli Stormers, franchigia top in Sudafrica. Spettacolare perché mi sono prodotto in uno scatto di 60 metri e per segnarla ho dovuto resistere al placcaggio di Damian Willemse, nazionale degli Springboks, non l’ultimo arrivato».

Parliamo d’Italia. Come è stato possibile passare da cenerentola del Sei Nazioni al miglior risultato di sempre?
«Nulla è accaduto per caso. Quesada è stato bravo a finalizzare e valorizzare il progetto di Crowley che prevedeva un lavoro specifico sulla tecnica per ogni situazione di gioco, soprattutto in attacco. Ha armonizzato queste skills facendo rendere al massimo ogni giocatore. Ha martellato poi tanto sulla testa. La squadra era uscita moralmente a pezzi dal Mondiale, ma lui ha saputo rendere quella debolezza un punto di forza rimotivando l’ambiente. Ha chiuso un capitolo della storia della nazionale senza che ci fossero scorie negative».

Gli obiettivi del Summer Tour?
«Vincere giocando bene. Affrontiamo nazionali che ci stanno dietro nel ranking ma che sfrutteranno il fattore campo e a cui piace dominare nell’uno contro uno. Come placcatore avrò il mio bel da fare. Servirà una mentalità corretta. In questa Italia c’è una nuova consapevolezza ma senza spocchia. Siamo realisti ed esigenti. Punto a diventare un pilastro della squadra. L’effetto sorpresa è finito, tutti ora mi conoscono. Ho scoperto tardi l’ovale, all’oratorio dove il Rugby Brescia faceva promozione. Prima ero un portiere e sognavo di giocare nell’Inter. So quanta fatica ci è voluta per arrivare fin qui e quindi non voglio fermarmi».

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