Atletica, l’essenza impalpabile dei 100 metri piani

Dove vola il pensiero del campione in quei pochi secondi? Mennea rispondeva così: 2Non è un concetto chiaro, posso dire che sembra di essere dentro un caleidoscopio”
Atletica, l’essenza impalpabile dei 100 metri piani© EPA

Negli States al Cincinnati Zoo and Botanical Garden, su una pista della federazione mondiale di atletica, un ghepardo ha corso i 100 metri piani in 5”95; l’animale ha fatto registrare una velocità massima di 98 km/h, segnando una media di 60,5 km/h. Si tratta di un risultato stupefacente, imparagonabile a quello di qualsiasi altro animale al mondo: la gazzella o la tigre, accreditati di prestazioni straordinarie, possono solo avvicinare l’impresa del ghepardo. La reattività, la potenza muscolare, la forza che il corpo del felino sprigiona, e, come dimostrato dalle neuroscenze, le connessioni tra sistema centrale e sistema periferico, sono indicative di qualcosa di esplosivo e di unico. Persino l’animale più somigliante al ghepardo - il leopardo - non riesce ad esprimere quelle prestazioni. L’uomo, dal canto suo, è lontanissimo da questi parametri: se volessimo considerare “metri al traguardo”, dovremo segnare almeno a trenta metri il primatista del mondo dei 100. Va ricordato come, al di là delle differenze di rilevamento manuale o elettronico, dalle Olimpiadi di Città del Messico (1968) i miglioramenti rispetto ai record sulla distanza siano stati costanti ma piuttosto esigui.  
 

Si ha tempo di pensare?

Sono tuttavia altre le osservazioni che vogliamo fare su distanza, velocità e attitudine umana, per questa che, per paradosso con la maratona, è la gara regina dell’atletica. Che si guardi alle comparazioni che l’etologia e la scienza più in generale suggeriscono, questa corsa, rapida come un fulmine, consuma anni di allenamento e metodologie in evoluzione in un tempo brevissimo. L’uomo “pensa” e dai presocratici a Platone, da Kant ad Heidegger, si ritiene che questo faccia la differenza con l’animale, cioè che la causa, la ragione, è chiamata in parte “fuori” da quello che appare corporeità, e più ancora dai mezzi che il corpo umano offre. Una “macchina perfetta” quella umana, di cui ancora molto dobbiamo scoprire soprattutto in ambito di sistema sensoriale. I neuroni elaborano e immagazzinano, e poco altro possiamo dire della trasmissione ai percettori. La domanda interessante ci pare dunque: cosa si possa “pensare” nell’arco dei nove o dieci secondi che intercorrono dalla partenza ai blocchi fino al traguardo. E quanto questo incida su trasmissione e percezione dei connettori umani. E ancora: si ha tempo o consapevolezza di pensare?  
 

L'eleganza ed il pensiero della leggenda Mennea

Il nostro più grande velocista di sempre prima di Jacobs, “la freccia del sud”, uomo elegante e colto, oltre che atleta straordinario, Pietro Mennea, un mattino di primavera al Foro Italico di Roma, attorno alla mitica “palla”, posta su mosaico di pietra, mi disse, guardando, come era solito fare, con lo sguardo appena sopra l’orizzonte: «In gara penso “qualcosa”, ma non saprei dirti cosa, cioè non elaboro, non articolo propriamente un pensiero, non “connetto” quella “macchia iconica” che può e deve pur significare… Ma se tu insistessi nel chiedermi cosa… forse ti risponderei con l’esempio di un vecchio gioco da ragazzi: il caleidoscopio». Mennea aveva conseguito quattro lauree, era un uomo geniale, ma non sapeva darmi risposta. Da allora, ho creduto che il tempo di immaginare del velocista sia davvero tempo di un breve movimento “rotatorio della mente”, un “rovescio” improvviso, qualcosa che abbia a che fare con le mille pietruzze colorate di nessun valore, tranne gioia sublime degli occhi.

L'importanza del numero 100

Scrittore e studioso di rango, Marco Antonio Bazzocchi ci consegna a un altro mistero ricco di fascino. Con il il suo libro “Cento” afferma tra cabala e filosofia: «Si pubblica molto ma la gente è indubbiamente più sensibile a una letteratura di intrattenimento vicina alle serie televisive. E questo è ostacolo che gli scrittori dovrebbero combattere». A guardar bene, in sei mesi in libreria sono andati tre volumi: un saggio su Roberto Longhi edito dal Mulino, “Cento anni di letteratura italiana” per Einaudi e appunto “Cento”. «Un piccolo divertimento sull’arte di raccontare - precisa Bazzocchi - Mi è stato chiesto di scegliere un numero e di dargli uno sviluppo, partendo da idee legate alla letteratura. E ho scelto il cento». Torna il numero cento. Come non evocare allora quei cento passi divenuti racconto per immagini su Peppino Impastato, distanza assassina dalla casa del mandante del suo delitto, il mafioso Gaetano Badalamenti. Ecco che la cabalistica, come indicherebbe Scholem, “vicina al cielo”, indica anche il numero della corsa più entusiasmante e veloce dell’atletica: appunto i 100. In un libello edito da “Ippocampo”, si nasconde come in uno scrigno prezioso una traduzione deliziosa “La casa di centopiani”. Un giorno Tochi, un bambino che ama osservare il firmamento celeste, riceve per posta un misterioso invito in cima a una casa di 100 piani. Incuriosito, Tochi penetra nell’edificio e, risalendone le interminabili scale, incontra uno dopo l’altro i suoi simpatici inquilini. I primi dieci piani sono il regno dei topi, i successivi dieci ospitano gli scoiattoli, poi rane, coccinelle e così via. Al centesimo piano Tochi trova la regina dei ragni, che lo invita a osservare le stelle al telescopio. Un momento magico per il bambino, a cui sembra di sfiorare il cielo. La casa a 100 piani è davvero un libro incantevole che si apre, contando via via, in verticale. Ecco il mistero che i saggi, prima di ogni matematica, indicavano come “Mathema”, qualcosa che è logica , prima di “numero” e altro ancora e questo richiama al nostro argomento e a quei 100 metri che sono allungo prodigioso delle leve umane del velocista che, vogliamo ribadire, certamente “sogna”. 

L'alchimia della reattività

Morfologicamente l’anatomia dell’atleta, esprime presenza nei muscoli di “fibre bianche” e una propensione al lavoro anaerobico, cioè a uno sforzo intenso, che è limitato nel tempo, arrivando - incredibile a dirsi - al limite della assenza dell’impiego di ossigeno da parte della muscolatura. Questo è mistero o alchimia della reattività, questo, quando si andava a Formia, e c’era Carlo Vittori, uomo di scienza e di umanesimo, il primo test a cui erano sottoposti gli atleti, per le doti di esplosività ed elasticità. Viene da chiedersi per uno di noi, una persona qualunque, se non si è iperumani come è stato Mennea ed è Jacobs, cosa significhi correre quanto più e meglio possibile la distanza. Interessante è osservare che una persona tra i venti e i trenta anni, di sesso maschile, mediamente allenata, possa fare i 100 metri in meno di 13”, qualcuno può arrivare a 12, un tempo già inavvicinabile per molti amatori, a una velocità media tra i 27 e i 30 km/h. 

La forza sovrumana di marciatori e corridori

Altro elemento a cui si fa poco caso, è poi il tratto piano, quello in cui il velocista puro distende la corsa. Per taluni è «il momento di piacere assoluto»: lo disse un velocista azzurro che raggiunse vertici europei, Stefano Tilli, che era un normotipo, capace di accelerare in modo formidabile la frequenza dei passi. Ma quanti sono il numero dei passi di un atleta che corra i centimetri? Si parla di 45, meno forse, se si considera il passo “lanciato”. Per dire che “esserci”, significa appunto pensare. E questo vogliamo dire, richiamando il numero o il caleidoscopio dei fanciulli, o la fiaba della costruzione di cento piani, che cioè tutto questo, anche la disciplina sportiva dei 100 metri, è un “pensare” prima che un agire, perché tutto ciò che i Greci chiamavano “aletheia” (la verità) non esclude l’una parte e l’altra, il corpo e la mente. Giorgio Caproni, voce magnifica del Novecento, mi confessò: «Sai, l’atletica ha un suo fascino: marciatori e corridori nelle loro solitudini senza attrezzi, raccolgono forze sovrumane, forse dal vento, come rondini che planino in volo…». E non posso non pensare ai giochi olimpici di Roma e ai 200 di Livio Berruti: ecco perché correre come il vento, somiglia a volare. 

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