TORINO - Le strisce delle corsie e le stelle in pista, i 100 metri sono tornati a essere un monopolio americano quanto e più di prima. No Jacobs, no party. L'equazione vale solo dal punto di vista dell'Italia, perché a Eugene è stata una festa racchiusa in tre lettere: Usa.
«L'avevamo detto, l'abbiamo fatto»: Fred Kerley aveva annunciato un podio tutto statunitense e così è stato. Nella storia dei Mondiali un risultato del genere si era visto solamente altre due volte, ma l'ultima risaliva a 31 anni fa, a Tokyo 1991, quando a guidare lo sprint statunitense c'era ancora Carl Lewis.
Il vicecampione olimpico era il favorito, forte di una stagione che l'aveva visto scendere sotto i 10 secondi sette volte. L'unica sgambata sopra i 10 se l'è concessa in semifinale, correndo in 10”02. La finale però non è stata una passeggiata: in partenza se ne è uscito veloce Chris Coleman (il campione mondiale uscente, poi 6° in 10”01) con Kerley che ha liberato tutta la propria potenza da metà gara in poi rimontando su Marvin Bracey: 9”86 contro 9”88 con Trayvon Bromell terzo al fotofinish con lo stesso crono di Bracey (vento pressoché assente: -0,1 m/s). La Giamaica del post Bolt è ancora giù dal podio, come ai Mondiali di Doha, anche se il quarto posto del 21enne Oblique Seville in 9"97 non va sminuito.
Per consolare Marcell Jacobs si può notare che quella di Eugene è stata una finale più lenta di quella olimpica di Tokyo, dove l'azzurro si è preso l'oro con 9”80. Attenzione però perché Kerley quest'anno ha corso per tre volte sotto quel crono. Anche con un Jacobs di nuovo al 100% non sarà facile detronizzare il nuovo re dello sprint. E con Kerley, il giovane fenomeno Erryon Knighton e Noah Lyles gli Stati Uniti vogliono estendere anche ai 200 questa ritrovata supremazia. L'impero americano colpisce ancora.