Quando uno sport, in questo caso la bici, viene definito “seconda terapia” significa che non c’è solo passione ma qualcosa di più forte e più viscerale. Questo è quello che abbiamo capito parlando con Alessandro Cresti, un ragazzo di 28 anni della provincia di Siena che, dopo la diagnosi nel 2015, ha scoperto il suo personale modo di vivere: pedalando. La bici lo fa stare bene, senza pensieri, e la sclerosi multipla non sembra essere un ostacolo a questo grande amore. Alessandro ha anche tanti altri traguardi da raggiungere, come quello di raccogliere fondi per AISM, e un grande sogno nel cassetto che si chiama Obiettivo 3.
Quando sei entrato in contatto con AISM?
«Mi sono avvicinato ad AISM l'anno scorso. Avevo bisogno di parlare con qualcuno e insieme a una psicoterapeuta abbiamo fatto un percorso di cinque sedute. Probabilmente se non avessi avuto questo bisogno, forse non sarei entrato in contatto con AISM: non perché non mi volessi confrontare, ma perché ancora non riuscivo bene a parlarne. Avevo cercato qualche informazione su internet, ma dopo la diagnosi ho preferito starmene per conto mio. Il percorso per arrivarci è stato abbastanza lungo: sono stato ricoverato a novembre 2014 per una parestesia a braccio e gamba sinistri, mi sono fatto dieci giorni all'ospedale di Siena, dove mi hanno fatto esami, risonanze, di tutto e di più perché non riuscivano a capire che cosa avessi. La diagnosi definitiva è arrivata ad agosto 2015. Il medico che mi ha detto della malattia e in quel momento è stata una batosta grossa: non ero né preparato né informato riguardo la sclerosi multipla e ho subito pensato che la vita sarebbe finita lì».
Come hai cercato di superare questa fase iniziale?
«Mi sono informato, ho conosciuto tante persone che convivono con la sclerosi multipla da molto più tempo di me. Ognuno vive la patologia a suo modo, come è giusto che sia: non siamo tutti uguali. I primi momenti per me sono stati davvero difficili ma poi, con il tempo, ho imparato a conviverci e mi sono avvicinato alla mia grande passione, la bici».
A proposito della bici, raccontaci che ruolo ha nella tua vita.
«Diciamo che io ho sempre praticato sport. Fino all’età di 20 anni ho fatto pallavolo, poi però incastrare il lavoro con gli orari degli allenamenti è diventato sempre più arduo e quindi ho lasciato. Circa tre anni fa, dopo la diagnosi, ho iniziato a praticare ciclismo e ho trovato la mia seconda terapia».
Che cosa ha significato per te avvicinarti al ciclismo?
«L'ho usato per liberarmi dai pensieri. Una volta che trovi uno sport che ti piace e grazie al quale riesci a non pensare alle cose negative che stai vivendo, vuol dire che hai trovato la perfetta valvola di sfogo. Quando vado in bici mi concentro solo su quello e non ho altri pensieri. Faccio 1000 km al mese e tutti mi chiedono “Ma come fai a farlo?”. Sarò ripetitivo ma per me è una seconda terapia: non so se mi spiego, se non vado in bici sto male e quando ci vado non ho dolore, non ho niente. Se mi dovessi rendere conto di avere dei problemi diminuirei l'intensità ma per adesso sto bene, insomma mi aiuta».
Oltre alla passione, ti metti alla prova anche con le gare?
«Nel 2016 ho iniziato ad allenarmi con una squadra vicino Sinalunga, il mio paese. Faccio gare in mountain bike. Mi sono iscritto alla Coppa Toscana, che è un circuito che viene fatto in regione, ho gareggiato anche all'Isola d'Elba, in una gara per professionisti a livello mondiale, e da quest’anno faccio parte della Donkey Bike Sinalunga. Sulle bici da strada non ho mai fatto gare vere e proprie: ho partecipato a qualche granfondo, a cui partecipano migliaia di persone ma sono manifestazioni per lo più sono turistiche, o quasi».
Pensi che sia possibile legare l’amore per la bici ad AISM?
«Con AISM avevo già parlato qualche anno fa per chiedere di allestire in ogni città in cui facevo le gare uno stand dell’Associazione. All’epoca però non facevo tante gare come ora e mi farebbe davvero piacere fare anche qualcosa per raccogliere fondi per la ricerca. Magari riuscire a organizzare una gara, anche una volta l'anno, in cui chiunque può partecipare e fare una raccolta».
Che messaggio vorresti mandare a chi ha la sclerosi multipla ma non riesce ancora a trovare quell'appiglio per andare oltre la malattia e continuare la propria vita?
«Io mi sono avvicinato al paraciclismo proprio per questo: non mi interessa far vedere che sono un supereroe, perché non lo sono affatto. Nella vita uno si immagina di vivere fino a 80-90 anni, però secondo me è meglio vivere 50 anni “a tutta” che 90, passami il gergo tecnico, “a metà gas aperto”. Alla fine puoi convivere con una malattia e nel frattempo la scienza va avanti. All'inizio è dura ma poi, come diceva la Montalcini, “Il corpo può fare quello che vuole, ma la mente sono io”. Il mio messaggio è che anche da ammalati puoi fare sport. Cioè, delle volte torno a casa che sono stanchissimo e mi dico “Oggi ho esagerato”, e allora decido di prendermi uno o due giorni di riposo, sono consapevole di cosa posso o non posso fare. Però lo sport secondo me va fatto, non si può rinunciare, perché è veramente una terapia!».
Cosa speri per il tuo futuro? Hai un sogno nel cassetto?
«Ho inviato la mia candidatura per Obiettivo3 (Avviamento e Sostegno allo Sport per Atleti Disabili, ndi). È una cosa in cui spero tanto anche perché Alex Zanardi fa parte dell’organizzazione. Ho letto il suo libro e mi ha aiutato molto. Per me sarebbe un traguardo grandioso entrare a far parte di Obiettivo 3».
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