Mio padre, un orso buono

Brian Sacchetti racconta l'autobiografia del padre Romeo

TORINO - Brian Sacchetti ha cominciato la sua prima stagione piena senza papà in panchina da 7 anni a questa parte. E rimasto a Sassari, che oggi gioca al Ruffini la Reale Mutua Cup benefica contro l’Auxilium E l’ha cominciata mentre andava alle stampa l’interessante ed emozionante autobiografia di Meo, ex campione vero azzurro e poi allenatore scudettato con il figlio a Sassari. “Il mio basket è di chi lo gioca”, appena uscito per add editore. Un libro in cui c’è tutto Meo, innanzitutto una gran persona.

Brian, ha letto l’autobiografia di papà Meo? Lo sa che lei è una presenza costante nelle pagine?

«No perché aspettavo l’uscita in libreria, anche se mamma Olimpia mi mandava screenshot e pdf. Sono davvero curioso, comincio in questi giorni. E se davvero sono presente spesso, ebbene sono felice».

Ad esempio Meo la ricorda quando dopo l’ultimo terribile infortunio lei corse ad abbracciarlo dicendogli che glielo avrebbe vinto lei, lo scudetto.

«E anche io mi ricordo. Avevo 5 anni ero in casa con la tata, Gina, con cui ho un bellissimo rapporto ancora oggi. Lei spense la tv in quel momento. Vivevo già per il basket, grazie a lui. Al suo arrivo gli dissi proprio così. Sono stato preveggente, per una volta».

Altra citazione, quando mamma Olimpia gli disse: “te lo porto via” perché lui era troppo severo con Brian, allora 13enne.

«Non è stata l’unica volta nella vita. Veniva ad allenarci, ma non sempre. E mi massacrava. Mamma mi vedeva come il suo pargolo da proteggere, papà come un uomo da svezzare».

Difficile allenare un figlio. Meo scrive che spesso l’ha trattata peggio di altri per mostrare a tutti, anche agli altri giocatori, che non c’erano favoritismi.

«Ne abbiamo parlato poco. Certo non è stato facile. Sappiamo che ci sono le malelingue. E lui è stato molto bravo. All’inizio tutti mi vedevano come il figlio di Meo. E poi io credo a quanto mi ha detto fin da piccolo: “un giocatore deve dimostrare di esserlo in campo”. La sua presenza non mi ha mai limitato, ero orgoglioso dei suoi successi passati. Per me è stata una spinta in più. Certo, dice che più che darmi mi ha tolto, ma se sono qui, professionista a 30 anni lo devo a lui. E se si perdeva soffrivo due volte, io. Perché giocavo male e per lui».

C’è un fermo immagine nello scudetto di Sassari. Il vostro abbraccio dopo il successo in semifinale su Milano.

«E’ stato un turbinio di emozioni. Quando Sanders ha preso quel rimbalzo d’attacco era vicino e mi è venuto spontaneo. Avevamo fatto qualcosa di grande, assieme. Non c’è di meglio».

C’è tutto Meo allenatore in quel titolo. E pure il Meo uomo.

«Anche io mi ci rispecchio e trovo che sia il titolo migliore, perché è una frase che ha sempre ripetuto. E’ vero tu puoi essere uno scienziato, ma sono i giocatori ad eseguire... Però lui è modesto, c’è molto di suo nelle vittorie che abbiamo avuto. Sul piano tecnico e umano».

Prima stagione intera senza papà da un bel po’.

«Sassari ha allestito una squadra intrigante. Con una bella miscela di talento atletico, tecnico ed esperienza. All’assenza di papà ho avuto modo di abituarmi, visto che è stato esonerato a novembre scorso. Sena di lui in effetti a volte mi sembra un po’ strano, soprattutto nei ritiro, alle cene della squadra. Però sono un professionista e ho 30 anni, mi ha insegnato lui che devo cavarmela. Come del resto a lui è capitato di doversi aggiustare fin da piccolo».

Definisca papà

«Per me è sempre stato l’orso. Ma alla fine è Meo, è così com’è. Pensa ciò che dice, non tiene dentro. Sa dove bisogna fermarsi in campo e fuori. E’ una gran persona e lo ammiro per come ha cresciuto i suoi figli. Meo Sacchetti è una persona coerente con le sue idee e con il suo modo di vivere. Per quanto riguarda il basket, ebbene lo ama, me lo ha fatto amare. Dice che deve tutto a questo gioco».

E’ ciò che emerge dall’autobiografia scritta con Nando Mura... Lei come si definisce?

«Dovrebbe chiederlo a mio padre. Ma mi pare di aver preso molto dai suoi insegnamenti e dalla sua presenza. Ad esempio sono uno concreto».

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