Denis Villeneuve racconta Blade Runner 2049

Oggi nelle sale italiane il sequel del film uscito 1982: il regista canadese lo ha presentato nella Capitale

Trent’anni dopo, stessa città, stesso pianeta, stesso universo. Le cose sembrano essere peggiorate, ma è un mondo che ha ancora bisogno dei blade runner per dare la caccia ai replicanti ribelli. Trent’anni nella continuità temporale creata da Philip K. Dick e che Ridley Scott portò sul grande schermo nel 1982, trentacinque anni sul pianeta Terra, benché si concesse due aggiornamenti del “sistema operativo” con il Director’s Cut del 1992 e il The Final Cut del 2007. Il 5 ottobre arriva nelle sale cinematografiche di tutto il mondo il sequel dell’universalmente riconosciuto capolavoro del genere sci-fi. Blade Runner 2049 si svolge, appunto, trent’anni dopo i fatti del primo film. Protagonista Ryan Gosling nei panni dell’Agente K; al suo fianco ritorna Harrison Ford a vestire i panni di Rick Deckard. La regia è stata affidata al canadese Denis Villeneuve, autore dalla potente visione e lo stile eloquente, che ha firmato alcuni dei film più interessanti degli ultimi anni: La donna che canta, Prisoners, Enemy, Sicario e Arrival. Di passaggio a Roma per anticipare alcune sequenze del film, Villeneuve si è mostrato fiducioso sul risultato finale di un progetto che non ha mancato di scatenare polemiche sull’opportunità di “toccare” un titolo tanto importante. «Non ho accettato a cuor leggero, ci sono volute settimane, se non mesi, prima di prenderela decisione e dire di sì. Sapevo che sarebbe stato fondamentale avere il controllo totale, che facendo il sequel di un capolavoro c’erano pochissime possibilità di avere successo. Senza farmi troppi problemi ho scelto di girare Blade Runner 2049 per il semplice amore per il cinema. Il cinema è arte e non può esserci arte senza rischio, il rischio è eccezionale ma non mi turba. Con arroganza dico che è il migliore film c’è ho mai fatto». Su quanto sia stato importante Blade Runner per intere generazioni di spettatori, appassionati e filmaker anche Villeneuve non può che concordare. «È un film fondamentale per la mia passione nei confronti del cinema. L’idea di diventare regista nacque con Blade Runner, un’opera che ha avuto un impatto visivo potente su di me: ero un appassionato di fantascienza e cercavo una visione matura del futuro, la maggior parte dei titoli dell’epoca erano per adolescenti, mi interessava qualcosa di diverso, non ce ne sono tanti di lavori come 2001-Odissea nello spazio; poi scoprii Tarkovskij, ma all’epoca ero più esposto al cinema angloamericano. La fantascienza non parla del futuro o almeno non solamente, ma del nostro presente e il nostro rapporto con la natura, che oggi è disturbato ed è di questo che parla il film. Arrival è fantascienza, ma posso dire che ha in comune con Blade Runner il viaggio nell’intimo. Quando ero piccolo mi hanno attirato i grandi temi e i grandi autori di fantascienza, Asimov, Clarke erano i miei punti di riferimento, i romanzi di fantascienza come quelli di Frank Herbert o Jules Verne, i graphic novelist francesi e belgi tipo Enki Bilal o Moebius. Ho studiato scienza, la microbiologia era un campo che mi affascinava perché era la frontiera, era il momento in cui ti affacciavi sull’ignoto e la fantascienza mi ha consentito di farlo. Blade Runner ha esplorato i limiti dell’esistenza umana, ci sono tanti grandi libri e grafic novel di fantascienza ma non tanti grandi film di fantascienza ed è per questo che sono grato a Christopher Nolan per averci dato alcuni grandissimi film di fantascienza».

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