TORINO – Parli di giornaliste televisive e chi non conosce Monica Vanali. Pioniera del gentil sesso che parla di calcio, voce inconfondibile, eleganza e stile senza pari, personalità che metterebbe in difficoltà anche l’uomo più convinto dei propri mezzi e della sua conoscenza pallonara.
Ma chi è Monica Vanali?
«Un’appassionata di sport, cresciuta in una famiglia in cui si professava la religione sportiva: l’attività fisica aiuta il fisico e la mente. Un’amante, però, degli sport di squadra: ho giocato a pallavolo, sono arrivata fino in serie C, ho giocato a tennis, ma ho capito che non mi piaceva».
E quindi hai cominciato a fare la giornalista…
«Fine anni ’80. Seguivo il Padova da tifosa, poi da cronista, ma più per argomenti leggeri. Un bel giorno mi ritrovo a Monza per una trasferta di Coppa Italia. Il Padova perde e a fine partita mi intervista Pellegatti. Fortuna volle che in quel momento stessero cercando una donna che parlasse di calcio a Telelombardia. Da lì, poi, mi notò Enrico Mentana. Feci il provino, andai bene e da 23 anni la mia casa è Mediaset».
Passione per il calcio a parte, ne hai altre?
«La lettura e l’arte, mi fiondo nei musei appena posso. Sono felicissima che l’Expo si tenga a Milano. La mia passione più grande, però, è Parigi. Ho vissuto in Francia per tre anni, appena posso scappo lì».
Rapporto con i social?
«Lo accetto. Ho Twitter, Facebook per gli amici più intimi, gli ex compagni di scuola e le compagne di pallavolo. Ma niente Periscope o Instagram, sono abbastanza riservata. Non faccio un uso smisurato dei social network, diciamo che mi piace twittare quando seguo la Nazionale, ma più che altro per far sapere ai miei cari che sono viva e sto bene!».
Rapporto con il calcio e tutto ciò che c’è attorno?
«Buono, anche se spesso non mi piacciono e le malelingue, l’ipocrisia tra colleghi. Se uno ha scritto un bel pezzo o ha fatto un bel servizio è giusto che gli si venga riconosciuto. Personalmente sono entrata in punta di piedi nel gruppo dei giornalisti che segue la Nazionale. E devo dire che mi sono subito trovata bene, è una specie di famiglia. E poi ho conosciuto Conte…».
Già, il ct. Bel tipino, vero?
«Ottimo, sia come persona che come allenatore. Mi piace chi ha un’idea e la porta avanti. Chi porta rispetto verso gli altri, ma contemporaneamente lo pretende. E poi, a bordo campo è una furia. Ricordo un Novara-Juve in cui non smise mai di parlare e dare indicazioni alla squadra. E’ senza dubbio l’allenatore che mi ha più colpito nel periodo in cui ho fatto la bordocampista».
C’è qualcosa che rimpiangi del buon vecchio calcio?
«Mi piacerebbe rivedere il campionato italiano di una volta, in cui i migliori giocatori venivano nelle nostre squadre. E sarebbe bello anche che i giocatori fossero più liberi di parlare e rilasciare interviste. Ormai sono più intelligenti e colti rispetto al passato».
E il concetto di ignoranza dove va a finire?
«L’ignoranza è ovunque, in qualsiasi settore. Giornalisti, avvocati, medici. Io credo che ai giocatori le società possano concedere più libertà di parola e la possibilità di prendersi maggiori responsabilità».
C’è qualche calciatore per cui stravedi?
«In passato Ginola e Cantona. Ora Ibrahimovic».
Ti piacciono quelli un po’ str… afottenti.
«Stravedo per quelli che hanno gli attributi. Ibra, per esempio, lo riporterei subito in Italia. Lo vado a prendere io…».
Hai mai inserito il tuo nome sui motori di ricerca? Sai che compaiono due risultati in particolare. Il primo è il famoso “c. di Rubik”.
«Un episodio esilarante. Non so come mi sia uscita quella consonante maledetta. Volevo sotterrarmi due metri e scomparire all’istante. Appena lanciato il servizio Eleonora Boi ed io abbiamo riso come pazze».
L’altro episodio è una delle “perle” di Alberto Malesani, uno che non le mandava e non le manda a dire e forse anche per questo è senza panchina.
«Lui era arrabbiatissimo, ma non con me. Sembravo in imbarazzo durante quell’intervista, ma in realtà stavo per scoppiare dalle risate. Malesani lo conosco bene, è veneto come me ed è un carissimo amico. Manca alla nostra serie A».
Basta parlare di calcio. Situazione sentimentale?
«Legata sentimentalmente, come si dice? Fidanzata? Sì, fidanzata, ma tremendamente riservata».
E con chi?
«Un chirurgo che tifa Juve. Sai che discussioni...».
Cosa vorresti raccontare?
«Mi sarebbe piaciuto partire subito e raccontare la reazione di Parigi all’attentato a Charlie Hebdo. Mi piace viaggiare e trasmettere quello che vedo. Seguire eventualmente anche la cronaca, per poi tornare sempre al mio grande amore, lo sport».
Un selfie con chi te lo faresti?
«Obama o Papa Francesco, senza alcun dubbio. Nel mondo dello sport, Usain Bolt».
Se dovessi scrivere oggi la tua autobiografia quale sarebbe il titolo?
« “Lottare e vincere”. Forte, ma perché ho lottato davvero tanto per arrivare fin qui».
© RIPRODUZIONE RISERVATAMa chi è Monica Vanali?
«Un’appassionata di sport, cresciuta in una famiglia in cui si professava la religione sportiva: l’attività fisica aiuta il fisico e la mente. Un’amante, però, degli sport di squadra: ho giocato a pallavolo, sono arrivata fino in serie C, ho giocato a tennis, ma ho capito che non mi piaceva».
E quindi hai cominciato a fare la giornalista…
«Fine anni ’80. Seguivo il Padova da tifosa, poi da cronista, ma più per argomenti leggeri. Un bel giorno mi ritrovo a Monza per una trasferta di Coppa Italia. Il Padova perde e a fine partita mi intervista Pellegatti. Fortuna volle che in quel momento stessero cercando una donna che parlasse di calcio a Telelombardia. Da lì, poi, mi notò Enrico Mentana. Feci il provino, andai bene e da 23 anni la mia casa è Mediaset».
Passione per il calcio a parte, ne hai altre?
«La lettura e l’arte, mi fiondo nei musei appena posso. Sono felicissima che l’Expo si tenga a Milano. La mia passione più grande, però, è Parigi. Ho vissuto in Francia per tre anni, appena posso scappo lì».
Rapporto con i social?
«Lo accetto. Ho Twitter, Facebook per gli amici più intimi, gli ex compagni di scuola e le compagne di pallavolo. Ma niente Periscope o Instagram, sono abbastanza riservata. Non faccio un uso smisurato dei social network, diciamo che mi piace twittare quando seguo la Nazionale, ma più che altro per far sapere ai miei cari che sono viva e sto bene!».
Rapporto con il calcio e tutto ciò che c’è attorno?
«Buono, anche se spesso non mi piacciono e le malelingue, l’ipocrisia tra colleghi. Se uno ha scritto un bel pezzo o ha fatto un bel servizio è giusto che gli si venga riconosciuto. Personalmente sono entrata in punta di piedi nel gruppo dei giornalisti che segue la Nazionale. E devo dire che mi sono subito trovata bene, è una specie di famiglia. E poi ho conosciuto Conte…».
Già, il ct. Bel tipino, vero?
«Ottimo, sia come persona che come allenatore. Mi piace chi ha un’idea e la porta avanti. Chi porta rispetto verso gli altri, ma contemporaneamente lo pretende. E poi, a bordo campo è una furia. Ricordo un Novara-Juve in cui non smise mai di parlare e dare indicazioni alla squadra. E’ senza dubbio l’allenatore che mi ha più colpito nel periodo in cui ho fatto la bordocampista».
C’è qualcosa che rimpiangi del buon vecchio calcio?
«Mi piacerebbe rivedere il campionato italiano di una volta, in cui i migliori giocatori venivano nelle nostre squadre. E sarebbe bello anche che i giocatori fossero più liberi di parlare e rilasciare interviste. Ormai sono più intelligenti e colti rispetto al passato».
E il concetto di ignoranza dove va a finire?
«L’ignoranza è ovunque, in qualsiasi settore. Giornalisti, avvocati, medici. Io credo che ai giocatori le società possano concedere più libertà di parola e la possibilità di prendersi maggiori responsabilità».
C’è qualche calciatore per cui stravedi?
«In passato Ginola e Cantona. Ora Ibrahimovic».
Ti piacciono quelli un po’ str… afottenti.
«Stravedo per quelli che hanno gli attributi. Ibra, per esempio, lo riporterei subito in Italia. Lo vado a prendere io…».
Hai mai inserito il tuo nome sui motori di ricerca? Sai che compaiono due risultati in particolare. Il primo è il famoso “c. di Rubik”.
«Un episodio esilarante. Non so come mi sia uscita quella consonante maledetta. Volevo sotterrarmi due metri e scomparire all’istante. Appena lanciato il servizio Eleonora Boi ed io abbiamo riso come pazze».
L’altro episodio è una delle “perle” di Alberto Malesani, uno che non le mandava e non le manda a dire e forse anche per questo è senza panchina.
«Lui era arrabbiatissimo, ma non con me. Sembravo in imbarazzo durante quell’intervista, ma in realtà stavo per scoppiare dalle risate. Malesani lo conosco bene, è veneto come me ed è un carissimo amico. Manca alla nostra serie A».
Basta parlare di calcio. Situazione sentimentale?
«Legata sentimentalmente, come si dice? Fidanzata? Sì, fidanzata, ma tremendamente riservata».
E con chi?
«Un chirurgo che tifa Juve. Sai che discussioni...».
Cosa vorresti raccontare?
«Mi sarebbe piaciuto partire subito e raccontare la reazione di Parigi all’attentato a Charlie Hebdo. Mi piace viaggiare e trasmettere quello che vedo. Seguire eventualmente anche la cronaca, per poi tornare sempre al mio grande amore, lo sport».
Un selfie con chi te lo faresti?
«Obama o Papa Francesco, senza alcun dubbio. Nel mondo dello sport, Usain Bolt».
Se dovessi scrivere oggi la tua autobiografia quale sarebbe il titolo?
« “Lottare e vincere”. Forte, ma perché ho lottato davvero tanto per arrivare fin qui».