TORINO - Due premesse. La prima: le considerazioni di Tavecchio sul futuro di Conte («morto un Papa eccetera...») sono una inevitabile conseguenza nel caso in cui Conte medesimo non dovesse rinnovare l’accordo con la Nazionale; e non ci pare che stavolta il presidente l’abbia fatta fuori dal vaso. La seconda: in questo preciso periodo storico, Allegri - con l’appoggio della società e il sussidio tecnico dei garanti dello spogliatoio - è tornato a gestire la Juventus come è accaduto la scorsa stagione, dunque all’apparenza non si percepisce la necessità di un cambio. Però, evase le premesse, è fuori discussione che l’accostamento Juventus-Conte susciti un fascino speciale e quasi irresistibile; sicuramente più di Conte alla Roma, di Conte al Milan, di Conte al Chelsea.
Ma è altrettanto fuori discussione che nel momento in cui il ct dovesse lasciare l’azzurro dopo l’Europeo, per la Juventus potrebbe essere o un clamoroso ritorno - nonostante ci sia ancora da lavorare su Agnelli e il suo entourage - o un autentico incubo, inteso come un avversario tosto e agguerrito sulla rotta dello scudetto e della Champions League. Esiste anche una terza accezione, estrema e ironica: insomma, che Conte sia un incubo proprio perché ritorna, con i suoi martellamenti, la sua severità, la sua maniacalità, il suo controllo totale su tutto e su tutti. Per raccontarla con Bonucci: molto bastone, pochissime carote. Del resto, chi vuole (o si tiene) Conte, sa cosa prende.