1. La voce degli atleti
Ha fatto scalpore che a schierarsi sia stato Gianmarco Tamberi. Il campione mondiale di salto in alto ha scelto una posizione netta (“Non lo vogliamo in Nazionale. Squalificatelo a vita”) e con lui si sono pubblicamente schierati altri azzurri. Non tutti hanno la forza e il coraggio di esporsi (oltre il 90% degli azzurri appartiene a squadre militari) perché non tutti hanno al collo una medaglia d'oro come Tamberi.
Il suo parere può essere condivisibile o meno (personalmente io sono per concedere una seconda chance a chi è alla prima infrazione) ma per provare a comprendere le sue frasi, provate a mettervi nei suoi panni e in quelli degli atleti che, come lui, non hanno mai pensato di doparsi.
I commenti di Tamberi su Facebook sono nati da un'intervista che Tuttosport ha fatto al campione olimpico Jared Tallent e in quell'articolo l'australiano ha raccontato come lui si sia visto assegnare l'oro di Londra dopo quasi quattro anni, in seguito alla squalifica per doping del russo Kirdyapkin. E lo stesso Tallent a Pechino 2008 era finito dietro a Schwazer.
«Ora rientra lui, poi i russi – ha detto il campione olimpico - così è come ridere in faccia agli atleti puliti, mentre io ho aspettato quattro anni l'oro di Londra e sono stato privato della gioia di festeggiare ascoltando l'inno con la medaglia al collo. Vi pare giusto?»
2. “Ha scontato la squalifica”
Tre anni e nove mesi: tanti o pochi, questo era quanto Schwazer doveva scontare e lo ha fatto. I suoi legali hanno provato a farlo rientrare prima, ma lo sconto sulla squalifica è stato negato su parere negativo della procura antidoping e della federazione internazionale.
Terminata la squalifica è giusto che torni a gareggiare? Come ho scritto, credo nel concedere una seconda chance, per cui la risposta è sì.
Discorso diverso è che lo faccia partecipando al Mondiale a squadre di Roma, il 7-8 maggio.
E' vero che la federazione di atletica non viola nessuna regola convocandolo subito in Nazionale, però proviamo a uscire dal mondo della marcia, per assumere un punto di vista esterno.
Se nel ciclismo (o, se preferite, immaginate un qualsiasi altro sport) un corridore venisse convocato in Nazionale per una manifestazione mondiale appena otto giorni dopo la scadenza di una squalifica per doping, come verrebbe accolta una simile decisione?
E cosa si penserebbe se quella convocazione venisse fatta senza che prima il corridore abbia disputato una gara?
E se lo stesso comportamento lo tenesse un Paese diverso dall'Italia?
3. Le medaglie di Rio (e quelle di Londra)
Se va forte, è giusto convocarlo per Rio. Se credete nelle seconde chance, dovete accettare anche che Schwazer vada a Rio. E, visti i test fatti sinora, Schwazer in Brasile può puntare (almeno) a una medaglia. Questo lo sanno i tecnici di marcia, lo sa la federazione e lo sa il Coni.
Quando però vi troverete davanti alla tv a fare il tifo, ripensate alla finale dei 100 metri ai Giochi di Londra. Per chi tifavate? Per Usain Bolt o per Justin Gatlin?
4. Una squalifica giusta
Il problema forse sta negli eccessi: il doping è la cosa peggiore che ci sia nello sport, ma Alex Schwazer non è un assassino. Per questo, nel suo caso e in generale, sono contrario a una squalifica a vita (alla prima infrazione). D'altra parte è evidente che le attuali sanzioni sono inefficaci: troppo conveniente barare a un'Olimpiade se poi si può rientrare a quella successiva (al netto di eventuali codici etici).
Senza eccessi, tra squalifica a vita e Santo Subito, forse è giusto ripartire da qui, guardando avanti: chiedersi quale sia una squalifica giusta, quale possa rappresentare un valido deterrente per chi pensa di doparsi. E' troppo parlare di squalifica a vita? Perché non immaginare allora una prima squalifica di sei anni? E, per debellare casi di doping sistematico come quello della Russia, perché non fissare un numero massimo di casi, oltre il quale è l'intero Paese a pagare?
Questi sono semplicemente alcuni spunti e domande, senza la pretesa di essere portatori di una verità assoluta. Un modo per far sì che tutte queste discussioni non diventino semplici chiacchiere da bar, tra schieramenti pro e contro, ma servano a dar vita a uno sport più pulito.