Autonomia, l'abbaglio del calcio italiano che diventa supercazzola

In quattro anni persi tre miliardi di euro: si guarda alla Premier senza averne la compattezza e la competenza manageriale

Nelle parole che vanno di moda nel calcio italiano, superato fortunatamente il momento della “resilienza”, oggi è fortissima “autonomia” e non tramonta la sempreverde “sostenibilità”. Due concetti che, in modi differenti, sono diventati bandiere da sventolare se non proprio da brandire nelle battaglie dialettiche. Il guaio è che rimangono due concetti assolutamente astratti per il nostro calcio di vertice che se ne riempie la bocca, non è per lo più lontano dalla loro applicazione pratica. Perché se tra il 2018 e il 2022 la Serie A ha perso 3 miliardi di euro, parlare di sostenibilità è come invitare un vegano a una grigliata. Eppure il concetto è ribadito in continuazione mentre i debiti crescono, a volte con tassi di interesse da strozzinaggio. Tutti pronti a disegnare progetti giovani, investimenti nelle infrastrutture e nei settori giovanili, maledicono i procuratori, brutti e cattivi, poi la maggioranza finisce di spendere tra cartellini e ingaggi più di quello che potrebbero permettersi. Il calcio sostenibile è un ottimo argomento per libri e convegni, un must per ogni intervista, ma se ne trovano pochissime tracce nei bilanci della Serie A, pur con lodevoli e ammirevoli eccezioni, s’intende.

Da abbaglio a supercazzola

L’autonomia è invece un abbaglio che diventa supercazzola. L’abbaglio è dovuto al riflesso che acceca molti dirigenti italiani quando guardano alla Premier League, che di soli diritti tv guadagna cinque volte tanto la Serie A, oltre a essere il campionato più bello e popolare del mondo (come una volta era il nostro, ahimè). E i nostri dirigenti si sono convinti che la ragione di questo successo sia l’autonomia che la Premier ha ottenuto trent’anni fa. Che è un po’ come pensare che George Clooney abbia successo con le donne perché beve un certo tipo di caffè. Primo perché la Premier è autonoma, ma fino a un certo punto (la Federcalcio inglese è il ventunesimo azionista dopo i 20 club e ha diritto di veto). Secondo perché il successo della Premier sta nella compattezza dei club nel fare sistema e nella gestione puramente manageriale del calcio, senza campanilismo, rivalità e folklore assortito. Insomma, è giusto che la Lega Serie A cerchi la sua autonomia, ma prima dovrebbe spiegare esattamente cos’è, dove deve portarla e soprattutto come pensa di gestirla.

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